Caro Avvenire,
sono indignato per la vergognosa liquidazione che, si dice, Stellantis erogherà all’ex Ceo Carlos Tavares a seguito del suo licenziamento. È una somma che offende chi con un onesto lavoro fa fatica a chiudere il mese. In primis, i dipendenti di Stellantis, più che mai in crisi. Dati poi i risultati operativi del Gruppo, non vedo come si possa mai giustificare tale esborso. Anche moralmente inaccettabile.
Sergio Bazerla
Caro Bazerla,
i cento milioni di euro di buonuscita per Carlos Tavares sono stati smentiti ufficialmente, anche se l’entità reale, pare di capire, rimarrà riservata “per scelta aziendale”. Devo confessarle che rimango più impressionato dall’ultima retribuzione annuale complessiva, pari a quasi 24 milioni di euro – inclusi bonus e pacchetti azionari – che non dalla liquidazione, a conti fatti in linea con lo stipendio percepito. Che il numero uno di un’azienda (non il proprietario) possa guadagnare circa 1.600 volte quanto percepisce l’operaio con una busta paga mensile di 1.200 euro (il livello più basso) risulta discutibile sia a livello morale sia a livello economico-gestionale. Sono le distorsioni del turbocapitalismo, si dice sbrigativamente. Una denuncia generica, tuttavia, non serve a molto.Andiamo a guardare alcuni aspetti della vicenda Stellantis, che è esplosa all’attenzione generale proprio con il licenziamento di Tavares, finora riverito come supermanager dotato del tocco di re Mida. In effetti, se le cifre che emergono dalla lettura dei bilanci sono corrette, gli azionisti di Fiat-Chrysler e PSA (unite dal 2021 in Stellantis) hanno ricevuto 23 miliardi in dividendi e riacquisti. In particolare, gli Agnelli-Elkann hanno beneficiato di introiti per tre miliardi lordi. Tutto bene, finché il mercato tira, e i costi non sono imposti sulla collettività.Infatti, è noto che gli ammortizzatori sociali (in primo luogo, la cassa integrazione) e gli incentivi all’acquisto delle vetture vanno a favore di lavoratori e consumatori ma nello stesso tempo sostengono l’azienda che è coinvolta. Stellantis (e prima Fiat) ha sempre rappresentato un interesse nazionale per il settore chiave che presidiava e l’occupazione che garantiva. Oggi, i dipendenti sono in diminuzione progressiva, e il cosiddetto comparto automotive sta perdendo la rilevanza che aveva in passato. Se sono inutilmente aspre e a volte fuori bersaglio le critiche di alcuni partiti alla gestione recente del gruppo, non è sbagliato riconsiderare quale sia la giusta politica industriale da intraprendere di fronte a scelte che hanno portato il cuore fiscale e decisionale lontano dall’Italia mentre il sostegno pubblico non veniva meno.La linea Tavares di massimizzazione dei profitti ha portato a ridurre gli investimenti in ricerca e sviluppo, con la conseguente difficoltà a reggere la dura competizione rispetto a una domanda in calo. La crisi dell’auto a motore endotermico (i giovani non la comprano, anche perché costa troppo), accelerata dalle normative ambientali Ue, e la difficoltà di penetrazione in Europa dell’elettrico (dovuta ai costi, ma pure alla miopia delle Case che non vi hanno creduto e sono partite in ritardo) rendono cupo l’orizzonte. Ciò suggerirebbe una “modestia” sia di compensi sia di atteggiamento per coloro che sono alla guida delle società interessante (si veda il caso Volkswagen in Germania).Che gli avvenimenti di queste settimane siano di lezione e monito per il futuro? Ce lo possiamo augurare, caro Bazerla. Oltre all’eticità dei comportamenti, resta decisiva la lungimiranza degli imprenditori e dei regolatori. Quando il disastro è ormai alle porte, dare colpe e mettere alla gogna può consolare qualcuno, ma non aiuta chi resterà senza lavoro e lascia aperte le porte ad aziende extraeuropee.