La stagione delle nozze dalle banche al risparmio
domenica 8 dicembre 2024
La primavera è ancora lontana, ma in alcuni pezzi della finanza pare già iniziata la stagione degli amori. Da due settimane tengono banco le mire di UniCredit su BancoBpm, che in caso di fusione darebbero vita alla più grande banca italiana per attivi. Attenzioni che hanno ingelosito il Crédit Agricole, che venerdì ha rafforzato la sua quota in Bpm al 15%. In attesa che eventuali nozze possano prendere forma – e qui il mercato scommette su un rialzo dell’offerta fatta da UniCredit agli azionisti di BancoBpm – ci sono almeno altre due operazioni che aleggiano intorno agli stessi protagonisti ma che possono avere un effetto ancora più rilevante. Non limitato solo agli azionisti e ai clienti, ma capace di impattare sugli equilibri geopolitici globali. Sì, perché in questo caso di mezzo non c’è la possibile integrazione tra banche ma tra alcune delle più grandi società europee di gestione del risparmio. E il risparmio, come non si stanca di ripetere Mario Draghi, è una delle poche leve che restano all’Europa per contare su scala globale. Purché, appunto, sappia far valere la sua forza e costruire società di dimensioni tali da poter competere con i colossi americani. È di giovedì la notizia che ruota intorno al colosso francese Amundi, il più grande gestore di investimenti privati del Vecchio Continente con oltre 2mila miliardi di masse, di proprietà del Crédit Agricole (che in Italia controlla l’ex Cariparma, l’ex Credito Valtellinese e numerose altre piccole banche); secondo l’agenzia Bloomberg, il gruppo transalpino starebbe trattando con i tedeschi di Allianz l’acquisizione della sua controllata Allianz Global Investors e dei suoi 555 miliardi di masse gestite, che farebbero gola anche a un altro attore tedesco, Dws (di proprietà Deutsche Bank). Si dovesse fare, Amundi consoliderebbe il suo posizionamento tra i primi dieci operatori a livello globale. Indiscrezioni, per ora. Ma la partita è rilevante perché quello del risparmio è un mercato in cui, più di altri, a fare la differenza sono le dimensioni: chi gestisce le somme più ingenti di fatto si trova a smistare investimenti a nove zeri in giro per il mondo, privilegiando questa o quell’area, certi settori piuttosto che altri. Il matrimonio franco-tedesco, se anche dovesse andare in porto, in ogni caso si limiterà a ridurre la distanza dalle posizioni di testa, dominate da gruppi americani che viaggiano su altri ordini di grandezza: BlackRock (oltre 10mila miliardi di dollari gestiti a fine 2023), Vanguard (8.600 miliardi) o Fidelity (4.600 miliardi), società specializzate in prodotti di investimento che spesso finiscono nelle tasche dei risparmiatori italiani, tra i più ricchi al mondo e quindi tra i più corteggiati. E l’Italia? Pur a fronte di oltre 5mila miliardi di ricchezza che fa capo alle famiglie, il nostro Paese non può contare su soggetti di dimensioni paragonabili ai leader di mercato. Nella classifica dei primi 500 operatori redatta dai ricercatori del Thinking Ahead Institute, il primo italiano è Generali al cinquantesimo posto (con 570 miliardi di masse gestite), seguita dal gruppo Intesa Sanpaolo (490 miliardi, che valgono la piazza numero 57) e quindi da Anima Holding (oltre 200 miliardi per la 113esima posizione). Ma è un quadro in movimento: proprio Anima da qualche settimana è finita nel mirino di BancoBpm, che punta ad acquisirla, mentre la settimana scorsa Il Sole 24 Ore ha parlato di un progetto di integrazione tra la gestione dei risparmi di Generali con un altro gruppo francese, Natixis, che ha un portafoglio quasi doppio superiore ai mille miliardi: un flirt, per ora, da cui potrebbe però nascere un campione europeo. Con opportunità e qualche rischio di carattere finanziario e politico che si stanno vagliando su più tavoli. © riproduzione riservata
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