Per capire bene l'Antilingua usata da chi vuole un'eutanasia praticamente obbligatoria anche se non richiesta in modo esplicito né documentato, è bene considerare con attenzione quel linguaggio ideologico che giustifica l'aborto e tutti i cosiddetti "diritti civili". Anche da noi i quotidiani parlano molto del "caso" francese di Vincent Lambert, 39 anni, da sette in stato di incoscienza in seguito a un incidente d'auto. Dicono i suoi genitori che ora è evidente che Vincent dorme e si sveglia, piange e sorride e comincia a deglutire. Invece la moglie insiste per sospendere cibo e acqua e afferma che il marito avrebbe chiesto, a suo tempo, di non essere costretto a vivere. Se ne parla perché la Corte Europea dei Diritti Umani ha già sentenziato che Lambert deve morire. Ma torniamo all'Antilingua del laicismo modernista, che qui non è possibile trattare ampiamente. La Stampa riferisce (sabato 6) che Erik Kriger, il primo medico che per Vincent parlò di eutanasia, ha definito la decisione della Cedu «un piccolo passo nell'accompagnamento di Vincent verso il fine vita, ma forse un grande passo per l'umanità». A parte la sproporzione e la contraddizione tra l'uccisione di un tetraplegico e il «grande passo per l'umanità», si noti come «il fine vita» miri, come in Italia, a sdrammatizzare la morte inflitta. Al maschile quel «fine vita» indica una finalità che non è la morte, mai esplicitata. In questo caso la volontà di eutanasia non è documentata se non da un "ricordo". E qui interviene con la sua esperienza proprio il papà di Eluana, Peppino Englaro, che a Repubblica (sabato 6) ha detto: «No, l'eutanasia non c'entra nulla con la storia di Eluana né di Vincent: questa non è eutanasia, ma è decisione di interrompere un trattamento che il paziente non vuole più, è una sentenza europea e quindi di gran peso, è segno del cambiamento di clima culturale». Insomma ha un valore politico come lo ebbe, di fatto, la morte tanto voluta non "da" ma "di" Eluana più di sei anni fa. MAI TROPPO TARDISecondo La Stampa, che (giovedì 11) a Torino ha citato la Lectio magistralis pronunciata da Umberto Eco dopo aver ricevuto l'ennesima laurea honoris causa in Comunicazione e Media, nella rete Eco ha sollevato un polverone perché aveva definito i blog di Internet, Facebook e Twitter «uno sfogatoio per legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino». Forse è anche vero, ma tutti hanno diritto di esprimersi, i ricchi e i poveri di parola. Un semiologo farebbe meglio a usare la sua aristocrazia della lingua e degli strumenti elettronici per insegnare a tutti come si parla e si scrive. Ricordate, anni fa, il maestro Alberto Manzi in tv con il suo programma? "Non è mai troppo tardi", nemmeno per Eco.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: