MarcelloPalmieri
Sul fine vita i giudici sorpassano il Parlamento. Mentre le sei proposte di legge su eutanasia e depenalizzazione del suicidio assistito giacciono alla Camera senza trovare la convergenza nemmeno per essere trasposte in un testo unificato, il 28 aprile si parlerà di suicidio assistito presso la Corte d'appello di Genova. Il caso è ancora quello di Davide Trentini, che a 53 anni, oppresso dalla sclerosi multipla, aveva deciso di farla finita in una clinica svizzera, con la collaborazione organizzativa di Mina Welby e Marco Cappato. Era il 2017, e co-presidente e tesoriere dell'associazione radicale Luca Coscioni si autodenunciarono ai Carabinieri. Nel frattempo, con la sentenza 242 del 2019 sul caso dj Fabo la Corte Costituzionale istituiva alcune eccezioni al ferreo divieto di assistenza nel suicidio previsto dall'articolo 580 del Codice penale: tra queste, il fatto che la persona desiderosa di morire fosse sottoposta a trattamenti di sostegno vitale.
Aderendo alla tesi proposta (anche) dal consulente tecnico della difesa, l'anestesista Mario Riccio, la Corte d'Assiste di Massa ha assolto in primo grado i due imputati interpretando estensivamente la presenza di questo requisito. Stando ai giudici toscani, per poter chiedere l'aiuto a morire non sarebbe necessaria la dipendenza da un macchinario salvavita, essendo sufficiente la sottoposizione del paziente a una terapia farmacologica. Eppure quando la Consulta aveva coniato la condizione della sottoposizione a un trattamento di sostegno vitale, il caso al suo vaglio – creato anche in questo caso da Cappato, autoaccusatosi del reato di aiuto nel suicidio – era quello di Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo: una persona che, a seguito di un incidente stradale, era divenuta cieca e tetraplegica, dipendente dai supporti vitali. Del fatto che i due casi non fossero sovrapponibili si è accorto il pm di Massa, e da qui è scaturita la decisione di impugnare presso la Corte d'Appello competente – nel caso quella di Genova – l'assoluzione pronunciata in primo grado dai giudici della Corte d'Assise.
A interpretare la decisione della Corte Costituzionale saranno dunque altri giudici. Ma da dove nasce questa incertezza? Da un dato inconfutabile: fino a oggi l'organo legislativo –
sintesi della volontà popolare – di morte a richiesta non ha mai voluto saperne. Lo ha fatto in modo parzialissimo la Consulta, aprendo un varco dai confini che vanno certamente chiariti.
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