Cammino sul marciapiede in una strada laterale della circonvallazione esterna, piuttosto tranquilla alle quattro del pomeriggio. Ma di colpo, un botto. Qualche passo più avanti, a un incrocio due auto si sono inspiegabilmente scontrate. Mi avvicino, i cofani delle parti anteriori sono un po' ammaccati, per terra ci sono vetri di fanale e pezzi di paraurti. Nessuna conseguenza per i guidatori e per i passeggeri, quattro uomini e una donna, che scendono dalle auto incolumi. Subito però cominciano ad alzare la voce, gesticolando come se volessero passare alle mani. Urlano, si insultano, uno degli uomini agita sotto il naso degli altri un dito che si sarebbe gonfiato, la donna risponde togliendosi una scarpa ed esibendo il tacco rotto. Niente di più, e anche loro se ne rendono conto. A poco a poco le voci si abbassano, i gesti si fanno più misurati. Alla fine tutti parlano in modo pacato, appoggiati ai cofani un po' ammaccati riempiono i moduli per la constatazione amichevole dell'incidente, si accendono reciprocamente le sigarette. Mi chiedo quanto tempo ci serva perché la ragionevolezza prenda il sopravvento. E quante volte la violenza esploda perché non c'è stato lo spazio per riprendere il controllo. I minuti necessari per rientrare in noi ed evitarci di sollevare inutile polvere di parole.
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