Era marzo, l’anno il 2020. Sembra un secolo fa. Un’amica lanciò un sondaggio sulla sua pagina Facebook che, oggi più ancora di allora, mi pare intrigante, come tutte le cose che guardano avanti anziché indietro. Chiedeva: cosa farete non appena finirà la prigionia del Covid? E precisava, citando Calvino: indicate anche la cosa più futile e leggera, perché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto. C’era chi rispose che per prima cosa avrebbe abbracciato tutti gli autisti, gli infermieri e i medici delle ambulanze. E chi voleva tornare dal parrucchiere. Ma anche chi prometteva di non lavarsi più le mani per un mese, o di partire per un viaggio senza meta, rotolarsi sull’erba, continuare a non farsi toccare dalla gente. La migliore di tutte però era questa: mi basterà sapere che siamo tutti vivi.
Sono passati più di quattro anni da allora, purtroppo non siamo tutti vivi. Pochi si sono rotolati sull’erba, pochissimi non si sono lavati le mani per un mese, e quasi nessuno è partito per un viaggio senza meta. O ha abbracciato gli autisti, gli infermieri e i medici delle ambulanze. Dal parrucchiere invece ci sono tornati tutti. Oscar Wilde ha scritto che i buoni propositi sono assegni che gli uomini emettono su una banca dove non hanno un conto corrente. Ecco, l’unica certezza è che siamo tutti un po’ più poveri.
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