La frutta secca sta diventando una nuova forza dell'agricoltura italiana
domenica 18 dicembre 2016
La frutta secca italiana cresce d'importanza, diventa un comparto economicamente appetibile, riesce a portare in giro per il mondo il buon nome dell'agroalimentare nostrano. Lontano dai riflettori della "grande" cronaca agroalimentare nazionale ed europea, quello della frutta secca – che proprio in questo periodo assiste ad un aumento stagionale dei consumi –, è uno di quei settori dell'agricoltura che miete successi, attira investimenti e provoca anche operazioni importanti dal punto di vista societario. Tanto che c'è chi fra gli autorevoli osservatori specializzati del settore – come il Corriere Ortofrutticolo – non esita a candidare l'Italia a diventare una sorta di dried-fruit valley del sud-Europa. E con ragione, visto che quasi contemporaneamente esplodono i consumi e le produzione, oltre che le dinamiche societarie.
Le vendite quest'anno pare sia siano attestate 625 milioni di euro (il +9,4% rispetto al 2015),
per oltre 52mila tonnellate di prodotto (+4,4%). E il comparto riesce per ora a cavalcare il successo. Anche se i problemi certamente non mancano. Due i punti fondamentali: i grandi produttori e le dinamiche di produzione. Poco tempo fa è nato un colosso dalla joint-venture tra Besana e Noberasco, marchi storici, che hanno dato vita ad un consorzio tra imprese con l'obiettivo di promuovere sinergie sugli acquisti, sui processi di specializzazione produttiva, e sullo sbocco nei mercati mondiali. Programmi in grande come si conviene ad un grande settore. Che proprio per questo attira altri concorrenti come la Orsero (già attiva nella frutta fresca), e che addirittura punta alla quotazione in Borsa entro febbraio. Sul fronte produttivo, fa sempre notare il Corriere Ortofrutticolo, sembra che le aree coltivate stiano effettivamente aumentando.
Per il nocciolo la prospettiva è arrivare a 90mila ettari nei prossimi sette anni, per il mandorlo si è già a 60mila; stesse logiche di espansione sono da registrare per le noci (per esempio in Emilia Romagna). Certo – ha fatto notare un operatore del settore –, rispetto ai colossi produttivi del mercato globale, come la Cina, gli Usa, la Turchia o l'Iran, i nostri volumi sono molto piccoli. Ma i piccoli possono anche crescere e dare del filo da torcere ai grandi. A patto che si risolvano problemi come l'atomizzazione produttiva, la necessità di un catasto aggiornato degli impianti, la scarsa coesione commerciale, il dilagare anche qui dei "falsi" prodotti italiani. Un esempio? Il mercato dei "falsi pistacchi di Bronte" pare abbia raggiunto un rapporto di uno a tre: per ogni chilo di vero pistacchio di Bronte in circolazione, ve ne sarebbero almeno tre contraffatti.
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