«L'infelice sfigurato dalla scheggia era il soldato della riserva Gimazetchin, l'ufficiale che gridava nel bosco era suo figlio, il sottotenente Galiulin, la crocerossina era Lara; Gordon e Zivago, i testimoni; erano tutti insieme, vicini, e alcuni non si riconobbero, altri non si erano mai conosciuti e certe cose rimasero per sempre ignote, altre attesero per maturarsi una nuova occasione, un nuovo incontro». Dalla pagina 97 della prima edizione italiana di Il dottor Zivago di Boris Pasternak, Feltrinelli 1957) estrassi anni fa per una mini-antologia delle riflessioni disseminate in quel capolavoro che più mi avevano colpito, anche questa citazione, che mi sembrò per più motivi fondamentale. C'era un punto del romanzo in cui, a vicenda ignorandosi, molti dei suoi protagonisti si trovavano vicini, ma a saperlo era solo lui, Pasternak, il narratore che ne avrebbe seguito i destini, e anzi, da demiurgo, li avrebbe messi a confronto dentro una storia di singoli trascinati dal turbine della Storia con la maiuscola. Mi sembrò una sintesi della vocazione al romanzo, della vocazione di un poeta che si volle anche narratore, e che aveva ben chiara la necessità, la funzione del romanzo. Non sarebbe difficile trovare momenti come quello che ho citato nei grandi romanzi di Tolstoj, Dickens, Dostoevskij, ma anche in Hugo e in Manzoni, in Melville o in Guimaraes Rosa... Piccole storie dentro la Storia, uno sfiorarsi di destini sui quali, con teorica freddezza, mi sembra che perfino Calvino abbia avuto qualcosa da dire se c'è un suo libro che si chiama Il castello dei destini incrociati. E mi sembra che l'"incrocio" di singoli destini con la storia di un'epoca (e vale per ogni epoca) sia quel che ancora davvero ci appassiona di certi (rari) romanzi contemporanei, mentre ci annoiano e allontanano la ristrettezza delle visioni, il narcisismo delle scritture, la banalità dei personaggi, la povertà delle esperienze... È anche per questo che si finisce per cercare nelle "storie vere" la complessità e profondità che quelle inventate non riescono a risvegliare dentro di noi commuovendoci e insieme informandoci svegliandoci ammaestrandoci, trasformandoci grazie a una conoscenza più profonda del mondo e di noi stessi, parlandoci pur sempre della condizione umana dentro una specifica epoca e società.
Due libri recenti, assai diversi tra loro ma che raccontano "a partire da sé" il mondo in cui hanno vissuto e continuano ad agire, mi hanno emozionato e convinto, e sono appunto storie private dentro la Storia: le memorie del grande musicista brasiliano Caetano Veloso edite da Sur, Verità tropicale, già Feltrinelli 2002, aggiornate dall'autore, e L'asino del Messia di Wlodek Goldkorn, Feltrinelli, che evoca il trasferimento della famiglia dell'autore, che ha infine scelto di vivere in Italia, dalla Polonia a Israele nel 1968, e la faticosa ambientazione in un mondo per lui nuovo e pieno di nuove contraddizioni. Fa seguito ad altri scritti di Goldkorn che mi sembrano utili a capir meglio le contraddizioni di ieri e di oggi, e vi si cita non a caso Agnes Heller, la grande filosofa ungherese di cui Castelvecchi ha appena pubblicato Il valore del caso, anche questa un'autobiografia appassionante, una storia singola dentro la Storia del secolo scorso e di questo.
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