Pur essendo sempre stato poco in sintonia con Renato Barilli, uno dei critici letterari e studiosi di estetica più influenti del Gruppo 63, leggo ora con curiosità e piacere il suo libro Pollice recto, pollice verso. La narrativa italiana a processo, 1994–2020 (Manni, pagine 240, euro 18,00). Il fatto che Barilli venga da lontano, cioè dagli eversivi e rivoluzionari anni Sessanta, è già di per sé un motivo di interesse. La sua ottica, i suoi criteri di giudizio, i suoi strumenti critici sono maturati nel corso di diversi decenni, attraversando varie fasi della cultura italiana non solo letteraria. In un passato ormai remoto non riuscivo ad apprezzare la faziosità neoavanguardista di Barilli e la sua stessa idea di avanguardia, nella quale è implicita una filosofia lineare della storia secondo cui, per dirla in breve, il futuro è meglio del presente e il presente è meglio del passato. Si tratterebbe cioè di anticipare sempre i tempi: si autodefinisce avanguardista chi anticipa il futuro e se ne appropria. Ma la critica ha questo di bello: quando è al suo meglio non si riduce a un’estetica e a un’ideologia letteraria, ma agisce empiricamente, fa i conti con i singoli libri di singoli autori. Scrivendo per dire nel modo più schietto sì o no, Barilli si mostra sia efficace che onesto. Ha i suoi gusti e le sue preferenze, eppure sa misurare ogni volta con precisione la qualità e la riuscita di una narrazione. Dice no, per esempio, al suo sodale Umberto Eco, sulla cui narrativa fa calare «un giudizio di inutilità (...). Da questi romanzi Eco trarrà tanto lustro, tanta popolarità, tanti soldi, ma altrettanto non si può dire per le sorti del romanzo contemporaneo». Eco non è affatto sofisticato e complesso come si crede, è invece “troppo semplice, perfino naif”. Ha preteso di riportare il romanzo al modello popolare dei Tre moschettieri, ma si tratta di repliche calcolate male. Non voglio sottovalutare i primi lavori anni Sessanta di Barilli, lo trovo però migliore come critico e recensore allo stato puro. Dice no a Baricco e sì a Stefano Benni, no a Daniele Del Giudice e sì a Niccolò Ammaniti, no a Roberto Saviano e Elena Ferrante, sì a Tiziano Scarpa e Aldo Nove, no al collettivo Wu Ming e sì a Walter Siti. Scelte di cui si può discutere. Ma non le discuto, preferisco accettarle con la buona dose di verità che contengono.
© Riproduzione riservata