La decisione della Corte costituzionale sull’autonomia differenziata, per quanto emerge dal comunicato diffuso in attesa del deposito della sentenza, non interviene soltanto su norme specifiche della legge Calderoli, direttamente oggetto dei ricorsi di quattro regioni. Ma inevitabilmente presuppone un’interpretazione di quell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, revisionato nel 2001, in cui viene prevista la possibilità di attribuire alle regioni a statuto ordinario «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». La Corte ha effettuato questa operazione, a partire dall’affermazione fondamentale che quell’articolo «deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana». Se vogliamo, discende tutto da qui. I giudici dirimpettai del Quirinale (il palazzo della Consulta è proprio dall’altra parte della piazza) hanno ricondotto il discorso dell’autonomia differenziata nell’alveo dei principi della Repubblica. Hanno salvato l’autonomia, ma un’autonomia secondo Costituzione, profondamente diversa da quella che si stava configurando. È un risultato importante che non sarebbe stato possibile conseguire con lo strumento dei referendum abrogativi, quale che sia la sorte di questi ultimi. E questo perché è lo stesso testo costituzionale riformato nel 2001 a contenere delle ambiguità.
Che ci fossero dei rischi lo aveva colto un costituzionalista insigne, Leopoldo Elia, già all’indomani del referendum che aveva confermato la riforma approvata dal Parlamento. Elia (che è stato anche presidente della Consulta tra il 1981 e il 1985) venne ascoltato dalla commissione affari costituzionali del Senato il 23 ottobre 2001, nell’ambito di un’indagine conoscitiva sugli effetti della riforma. Il resoconto stenografico ci restituisce in modo vivido le sue argomentazioni: «Secondo alcuni – ma la soluzione mi sembra, per così dire, massimalista – la regioni potrebbero perciò acquisire potere legislativo esclusivo anche in materia di grandi reti di telecomunicazioni, di energia, eccetera, ma soprattutto anche in alcune materie di legislazione esclusiva dello Stato, cioè nelle famose norme generali sull’istruzione e altre, di minore rilievo, concernenti i giudici di pace… Ebbene, a mio avviso è molto dubbio che questa norma rispetti i principi fondamentali della Costituzione perché mentre il progetto della Bicamerale diceva che “con legge costituzionale possono essere aggiunte altre materie”… qui si viola secondo me il principio della rigidità costituzionale dell’articolo 138, che è la garanzia massima che la Costituzione contempla per la sua superiorità». Nel corso dell’audizione Elia era tornato più volte su quello che aveva definito «un problema molto grave». In sostanza, aveva ammonito il giurista allievo di Costantino Mortati, nella sua interpretazione “massimalista” l’attuazione dell’autonomia differenziata finisce per determinare ulteriori modifiche costituzionali; ma allora per essa dovrebbero valere le garanzie previste dall’art.138 della Carta. Non a caso oggi la Corte ha precisato che la devoluzione deve riguardare non materie o ambiti di materie, quanto «specifiche funzioni legislative e amministrative» e deve essere «giustificata, in relazione alla singola regione», alla luce del principio di sussidiarietà.
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