«L’Onu ha fallito. È ora di scioglierla» Aspettiamo. Con soluzioni da provare
venerdì 1 novembre 2024
Caro Avvenire, si nota, già da tempo, che l’Onu ha fallito su ogni tipo di iniziativa. L’inefficienza e la staticità di questo organismo ha ridotto l’assemblea a un insieme di persone buone solo a percepire alti compensi e sperperare denaro. È arrivato il tempo di eliminare l’Onu che non riesce a riportare la pace in Medio Oriente e in Ucraina. Serve un organismo efficiente formato da pochi rappresentanti, con nuove regole, per avere un peso sullo scacchiere mondiale. Luigi Palmieri Caro Palmieri, la sua analisi appare, mi permetta, decisamente brutale. Ma di certo riporta alla realtà di un’organizzazione sovranazionale unica per numero di Stati membri che non sta operando come ci si aspetterebbe e che non riesce a realizzare i suoi scopi principali sui fronti più caldi da lei citati. Questo, tuttavia, non deve far dimenticare che da solo meno di 80 anni nella storia del mondo si è riusciti a costituire un’entità capace di rappresentare potenzialmente tutti gli abitanti del Pianeta, nessuno escluso. Ancora oggi, però, le stesse nazioni che ne fanno parte non rispettano gli interventi di pacificazione dell’Onu: lo si è visto, solo per fare alcuni esempi, con i serbi a Srebrenica e con Israele in Libano (spari sulla forza di interposizione Unifil) e a Gaza (progetto di mettere al bando l’Unrwa, l’agenzia che assiste i rifugiati palestinesi). Non sono casi citati senza una ragione: in tutti si può criticare anche l’operato di chi sta sotto la bandiera con i cinque continenti circondati dall’ulivo in campo azzurro. I soldati olandesi non fermarono il massacro dei bosniaci, il mandato dell’Unifil non le permette di essere efficace nel contenere le fazioni armate, i funzionari Unrwa non sono stati abbastanza attenti da evitare infiltrazioni di Hamas. Ma questo non cancella tutto ciò che di buono le Nazioni Unite hanno fatto con le Agenzie impegnate in operazioni umanitarie del tutto senza precedenti in altre epoche per portata e risultati ottenuti. Sprechi e inefficienze non sono mancati, è vero. E, soprattutto, è sotto gli occhi di tutti l’impotenza di fronte ai due conflitti che insanguinano l’Europa e il Medio Oriente. Che fare, dunque? Lascerei, caro Palmieri, l’opzione dello scioglimento e della rifondazione come ultima possibilità, e mi concentrerei su riforme difficili eppure da tentare. La più discussa è quella del Consiglio di Sicurezza e del veto che i 5 membri permanenti (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia) possono utilizzare per bloccare qualsiasi iniziativa sgradita. Passo arduo da compiere, perché nessuno, comprensibilmente, vuole cedere spontaneamente un potere fortissimo. Girano poi altre idee meno dibattute. Una interessante riguarda la creazione di una forza di pace Onu con potere decisionale autonomo, un contingente civile e militare che potrebbe essere dispiegato nelle emergenze senza attendere l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, aggirando così i no dettati dagli equilibri del momento. Tale forza consentirebbe un rapido intervento nelle zone di conflitto, sotto condizioni predefinite, come sfollamenti di massa o gravi violazioni dei diritti umani, limitando l’espandersi delle operazioni belliche. Tutti i Paesi potrebbero in linea di principio approvare la nascita di questo strumento non sapendo quando e come interverrà. Si suggerisce inoltre di rafforzare i partenariati regionali e creare centri distribuiti di prevenzione dei conflitti. Invece di una risposta centralizzata, l’Onu potrebbe sviluppare hub per la pace e la sicurezza in collaborazione con organizzazioni continentali, dalla Ue all’Unione Africana, dalla Lega Araba all’Asean. Essi avrebbero l’opportunità di comprendere meglio le dinamiche locali e sostenere azioni preventive. In questo senso, l’ultima proposta degna di nota è quella di Introdurre “crediti di pace” a livello globale: analogamente ai crediti ambientali sulle emissioni di carbonio, le Nazioni Unite potrebbero premiare i Paesi che mantengono la stabilità e promuovono la risoluzione delle dispute per via diplomatica, garantendo finanziamenti speciali (con fondi appositamente raccolti) o accesso preferenziale agli aiuti allo sviluppo. Non ci sono bacchette magiche, ma si può lavorare al miglioramento dell’Onu con un atteggiamento positivo. Proviamoci noi, ci provino i nostri politici a ciò delegati. © riproduzione riservata
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