Non posso certo dire di essere un ciclista provetto, esperto, appassionato. Ma le varie cose che si possono leggere nel breve e brillante libro di David Le Breton A ruota libera. Antropologia sentimentale della bicicletta (Cortina, pagine 224, euro 14,00) sono un invito alla libertà mentale e fisica. Il termine “antropologia” che compare nel sottotitolo non è un vezzo enfatico: l'autore effettivamente è un antropologo e sociologo che insegna all'Università di Strasburgo. La sua valorizzazione dell'andare in bicicletta si nutre di un sapere in grado di cogliere tutte le implicazioni che un tale singolo atto comporta. Lo si capisce fin dalle prime frasi del libro: «Quanto più il progresso tecnologico avanza, tanto più si riduce la dimensione sensibile dell'esperienza». E poi: «La sedentarietà pone gravi problemi di salute pubblica. Nonostante i costi, l'ingombro urbano, l'inquinamento e le innumerevoli tragedie che provoca, l'automobile rimane la pietra angolare della vita quotidiana. (...) Per milioni di nostri contemporanei, l'auto ha reso superfluo il corpo». La prima e forse più importante cosa che si impara a proposito dell'uso della bicicletta è il fatto di attirare l'attenzione sulla vastità e varietà dei vantaggi e dei cambiamenti che una singola e concreta scelta di vita può portare nella società. La bicicletta è ovviamente uno strumento tecnico di locomozione, ma i mutamenti di prospettiva che provoca servono non solo come invito a usarla, servono anche a riflettere più in generale sul luogo comune secondo cui non importano le tecnologie in sé, ma il modo in cui le usiamo. Questa idea ipotizza una identità umana inalterabile e immancabilmente libera che nessuno strumento tecnico può intaccare o influenzare. In realtà ogni tecnologia semplice o complessa modella i nostri comportamenti e la consapevolezza che ne abbiamo. Addomestica il nostro sistema nervoso, sequestra e dirige i tempi e i modi della nostra sensibilità e volontà. Il possesso di un'arma da fuoco, o di un'auto superveloce, o di un sistema automatico di sicurezza, influenzano la nostra mentalità e socialità. Fra i molti libri sulla bicicletta citati da Le Breton ce n'è uno intitolato Noi ciclisti salveremo il mondo, che è più una battuta di spirito, credo, che una fede. Ma certo il mondo non lo cambieremo mai senza cambiare qualcosa di concreto, atti, abitudini e consumi nella nostra vita di tutti i giorni.
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