Tardelli con la sua corsa straripante fece sognare milioni di italiani. Il brivido dell'Inno di Mameli, gli anni Ottanta di un inizio luglio caldo che appiccicava i vestiti estivi alla pelle. Il tiro, il gol e Tardelli, che entrò nella storia come pietra di paragone. «Sembravi Tardelli ai mondiali»: quante volte lo abbiamo sentito dire?
Taglio. Inizio novembre di quasi trent'anni dopo. Distanziamento, quarantene, chiusure e stadi deserti. I calciatori non si guardano quasi in faccia, nemmeno si provocano. Sembrano atleti di un videogioco, anche le reazioni ai gol sono tiepide, quasi telecomandate. Altro che Tardelli ai mondiali. Nello scenario di vita attuale il mondo saluta, a distanza di poche ore, Sean Connery e Gigi Proietti. Due che facevano un mestiere non indispensabile alla sopravvivenza umana: gli attori. Eh già, gli artisti. «Servono ma non sono indispensabili», ho sentito dire qualche giorno fa in un bar. E pensare che per gli antichi greci il teatro era considerato uno strumento di educazione per la comunità. La messa in scena a teatro è un fenomeno culturale universale che esiste in ogni società del globo. La comprensione di quest'arte ci aiuta a capire meglio cosa significhi essere umani. Il teatro ci insegna come esprimere noi stessi in modo più efficace, sviluppa la nostra capacità di comunicare i pensieri e i sentimenti verso gli altri, aiutandoci così a migliorare le relazioni interpersonali con il mondo che ci circonda. Il teatro ha una funzione psicologica e introspettiva davvero importante: la messa in scena ci aiuta a capire e comprendere anche le dinamiche della nostra società.
Eduardo De Filippo amava dire: «Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell'uomo di dare un senso alla vita». Possiamo privarci, in un momento così difficile per l'umanità intera di questo balsamo lenitivo per l'anima? Sarebbe come non aver mai vissuto l'urlo di Tardelli ai mondiali dell'ottantadue. Il teatro e l'arte sono sintomi di felicità dei quali non possiamo fare a meno.
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