La grande istituzione economica di Israele è il Giubileo, sabato dei sabati e perdono dei perdoni, dato che capita una volta ogni sette volte sette anni, allo Yom Kippur. Allora si fa suonare una tromba fatta con il corno di un montone, jobel in ebraico (laddove la “tragedia” è il “canto del capro” sacrificato nel culto dionisiaco, il giubileo è la “voce dell'ariete” che prende il posto di Isacco nel sacrificio di Abramo). Leggendo il Levitico, il cattolico romantico trattiene solamente il versetto 18 del capitolo 19, quello che contiene la frase «amerai il prossimo tuo come te stesso». L'amore sempre, ma che, così isolato, staccato dalle radici e dalle ramificazioni degli altri versetti, galleggia in assenza di gravità. Giubilare si riduce a un'emozione individuale, un orgasmo permesso anche alle vergini, senza nessun rapporto con l'economia – che idea bizzarra! Eppure basta leggere il testo che conclude il libro dei Leviti per accorgersi che invano la tromba suonerebbe la gioia se non rompesse le catene della schiavitù e non impedisse, soprattutto, ai bambini dell'Israele di diventare dei nuovi Faraoni: «Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell'acclamazione; nel giorno dell'espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo. Quando vendete qualche cosa al vostro prossimo o quando acquistate qualche cosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello». (Lv 25, 9-14). Di cosa parla esattamente questo passaggio? Durante quarantanove anni, sono stati portati a termine numerosi scambi, a seconda dei casi del tempo e delle scelte delle persone. Uno ha fatto cattivo raccolto quando l'altro ha mietuto in abbondanza. Uno ha dilapidato la sua eredità quando l'altro l'ha risparmiata o fatta fruttare. Il ricco ha dovuto estinguere il debito del povero, e questo, non potendo onorare le scadenze del suo credito è stato assoldato come lavoratore a giornata. «Ora egli sia presso di te come un bracciante, come un inquilino. Ti servirà fino all'anno del giubileo; allora se ne andrà da te insieme con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri» (Lv 25 40). Al cinquantesimo anno, i contatori sono rimessi a zero, ogni famiglia rientra nella sua proprietà, ritrova il suo oikos. Questa prospettiva pone un limite a tutte le transazioni operate negli anni precedenti. Il businessman sa che le sue acquisizioni eccedentarie, anche se compiute in modo legittimo e meritato, come ricompensa di un acuto senso degli affari, non potranno superare una durata determinata, circa una generazione e mezzo, che corrisponde
grosso modo alla sua speranza di vita e delimita dunque il surplus al suo merito individuale: «Ciascuno in Israele ritornerà alla sua eredità ed alla sua famiglia, se ne è stato alienato personalmente. Questa legge abbraccia il tempo, perché non soltanto la mannaia cade ogni cinquant' anni, ma si calcolano le vendite a partire dall'ultimo Giubileo, e questo vuol dire che l'ombra (agli occhi dell'avaro) o piuttosto la luce del Giubileo, data vivente e vibrante, dura per i quarantanove anni a venire». Ne La contro-epopea del deserto, saggio sull'Esodo, il Levitico ed il Deuteronomio, l'eccellente esegeta Jacques Cazeaux presenta questa reintegrazione giubilare come una vera «rivoluzione sociale e politica», dove la parola “rivoluzione”, per una volta, assume pienamente il suo doppio senso di avvenimento e di ritorno: «La soppressione dei latifondi o, più semplicemente, l'impossibilità di far perdurare le grandi proprietà, sabota alla radice le velleità di un clan o di una Tribù, e a maggior ragione di un re». Questa soppressione è tuttavia benefica per lo stesso grande proprietario: «Che cosa si può fare con un milione di acri? si chiede un personaggio di Furore. Si va in giro in un'automobile blindata. Si diventa un tipo grasso e molle, con piccoli occhi cattivi e una bocca simile al buco di un culo. E si ha paura di morire […] Se uno ha bisogno di un milione di acri per sentirsi ricco, deve essere perché si sente terribilmente povero dentro…». Una proprietà troppo grande, che supera la scala della nostra cura attenta, la possediamo meno di quanto essa non ci possieda: la sua realtà lascia il posto agli innumerevoli calcoli che invadono la nostra testa. Il Giubileo ci alleggerisce di questo peso. Delimita un campo alla nostra misura, a quello della nostra famiglia, dove possiamo agire realmente come "signori". Di questa legge, insopportabile per l'egemonia del mercato liberale, bisogna fornire una spiegazione e notare un'eccezione. La spiegazione è che ogni acquisizione si fonda su un dono originario, sia della cosa acquistata che dell'acquirente stesso, l'una e l'altro essendo creati dall'Eterno: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini». (Lv 25 23). Paradossalmente, sta veramente a casa propria solo chi riconosce che è solamente un ospite sulla terra che Dio gli dà. In questa riconoscenza, egli accoglie la sua eredità come una provvidenza e si ricorda che senza la mano forte e il braccio teso del Signore sarebbe ancora nel paese della schiavitù, a sgobbare per le città-deposito di Pitom e Ramses. Così , sapendo che deve la sua situazione ad una grazia, uno non cerca di arrogarsi ciò che appartiene all'altra famiglia e il cui accaparramento sarebbe anche la sua propria alienazione. Al contrario, avendo ricevuto senza merito, egli restituisce senza ritorno, si libera del surplus, lascia agli spigolatori le stoppie della sua mietitura e i bordi del suo campo: «Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino al margine del campo e non raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, il vostro Dio». (Lv 23 22). L'eccezione riguarda le città. Le case urbane – perlomeno quelle che in origine non appartengono ai Leviti – sfuggono alla legge del Giubileo. Il primo proprietario dispone di un diritto di riscatto, ma, se non ne ha i mezzi, non recupera automaticamente il suo bene. La città è il luogo proprio del commercio, mentre la campagna è quello dell'agricoltura. Ora, ciò che si tratta di garantire non è innanzitutto l'appartamento, né il palazzo e neppure il World Trade Center, che hanno il loro valore secondario e relativo, ma l'oikos, la casa con il suo pezzo di terreno che permette di assicurare la sussistenza della famiglia. Ma chi, oggi, conserva ancora questo senso economico del Giubileo? Gli economisti non sanno che l'economia ha un rapporto con tutto questo. E i cristiani evaporano in un giubileo astratto.
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