Nella tragedia I Persiani, Eschilo indica la causa della disfatta dell’impero nemico: Serse è stato arrogante, collegando con un ponte di barche la riva dell’Ellesponto.
Il mare è sacro, si può navigare, non violare: il ponte di barche collegate lo ha violato. Da cui la punizione per i Persiani: è stato compiuto un sacrilegio. Arroganza del giovane imperatore, ed esaltazione del valore dei greci, un manipolo di eroici difensori della loro civiltà, contro un’armata immensa.
Ma Eschilo rappresenta la tragedia dei Persiani, dei nemici, sconfitti: porta lo spettatore nel dolore della regina e dei dignitari, si immedesima in loro. Chi si immedesima nella tragedia dei Persiani, li ha fisicamente combattuti, in prima persona: a Maratona, dove suo fratello Cinegiro cadde in battaglia mentre rincorreva i nemici, poi a Salamina e a Platea.
Non era tenuto a combattere personalmente: ogni cittadino in guerra diveniva militare, in Grecia, ma a quelli di famiglia nobile e facoltosa era concesso di sottrarsi, facendosi sostituire da tre mercenari. A loro spese. Eschilo non ci pensò nemmeno. Era suo compito e desiderio, di cittadino greco. Andò a combattere, contribuì alla vittoria. Poi celebrò il loro dolore, si immedesimò nei nemici sconfitti, e scrisse una tragedia per loro.
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