Il doppio turno non è la causa dell’astensione
domenica 30 giugno 2024
La legge che ha introdotto l’elezione diretta dei sindaci (la n. 81 del 1993) è stata il primo frutto della stagione dei referendum elettorali e ne ha rappresentato uno degli esiti migliori, tant’è vero che ha funzionato egregiamente per oltre trent’anni, aprendo la strada anche ad altre innovazioni, purtroppo non tutte ben riuscite. Il sistema previsto da tale legge per i comuni con popolazione superiore ai 15 mila abitanti è maggioritario con ballottaggio eventuale. Quando si parla per comodità di doppio turno, si usa un’espressione legittima ma non del tutto appropriata. Il secondo turno, infatti, si tiene soltanto se nel primo nessuno dei candidati ha raggiunto la maggioranza assoluta. Nelle ultime amministrative, la maggior parte dei sindaci dei comuni capoluogo (16 su 29) è stata eletta al primo colpo. Nei 13 rimanenti – e soprattutto nelle città più grandi – i risultati hanno premiato il centro-sinistra e questo è bastato a far scattare il riflesso del centro-destra che da molto tempo accusa il sistema in vigore di favorire lo schieramento avversario. Obiettivamente, per come si è andato configurando il sistema dei partiti, la difficoltà del centro-sinistra nel formare coalizioni trova un parziale rimedio nella possibilità di andare in ordine sparso al primo turno per poi aggregarsi nel ballottaggio. Ma non è un meccanismo a senso unico. Sta negli annali politici il ribaltone che si verificò a Torino nel 2016, quando il candidato del Pd, Piero Fassino, fu battuto al ballottaggio dalla pentastellata Chiara Appendino, che al primo turno era rimasta staccata di dieci punti. Evidentemente, dall’elettorato di centro-destra era venuto un significativo contributo in chiave anti-Pd. In realtà, i buoni risultati del centro-sinistra nei grandi centri non dipendono essenzialmente dal sistema elettorale. Sono parte di un fenomeno che investe di fatto tutti i Paesi occidentali e che per i partiti in senso lato progressisti costituisce allo stesso tempo una risorsa e un limite, dato che la maggioranza della popolazione non vive nelle aree metropolitane. Stavolta però l’assalto al ballottaggio da parte del centro-destra è più sottile e fa leva sui dati che spesso registrano al secondo turno una partecipazione elettorale inferiore. L’astensionismo è un gravissimo problema per le nostre democrazie, ma non si può pensare di affrontarlo partendo dalla coda. A quanto pare la soluzione ipotizzata sarebbe quella di spostare al 40% la soglia per l’elezione al primo turno, come peraltro è stato già fatto da Sicilia e Friuli-Venezia Giulia in virtù dello statuto speciale. Non bisogna essere particolarmente maliziosi per notare che, con i numeri attuali, si tratta di una percentuale agevolmente raggiungibile dal centro-destra. Ma il punto cruciale è un altro: quando si elegge direttamente un vertice politico, la soglia del 50% assicura che tale vertice abbia comunque – al primo o al secondo turno – la maggioranza assoluta almeno dei votanti. Si tratta di una legittimazione democratica tanto più importante in una fase di elevato astensionismo, quando i numeri assoluti scendono e, se si confrontano i voti ricevuti con il totale degli elettori potenziali, le maggioranze si rivelano in concreto delle minoranze, compresa quella che governa (a pieno titolo, beninteso) il nostro Paese. Bisognerebbe tenerne conto anche nel dibattito sul premierato. © riproduzione riservata
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