Nell’attesa di una super-domenica sportiva che vedrà, insieme, celebrare la finale del Campionato europeo di calcio e quella del torneo tennistico di Wimbledon, nell’attesa dell’evento più planetario che esista, i Giochi Olimpici che si apriranno a Parigi, in una prima assoluta non dentro a uno stadio, ma sulla Senna il 26 luglio di fronte a 300.000 spettatori dal vivo e qualche miliardo nel mondo, ci occupiamo, parafrasando il titolo di un bel racconto di Raymond Carver, di “una cosa piccola, ma buona”. Nel racconto dello scrittore statunitense si tratta di un fornaio molto arrabbiato per una torta di compleanno ordinata per un bimbo, ma mai ritirata. Il fornaio non lo sa, ma il piccolo è stato vittima di un tragico incidente e quando i suoi genitori lo racconteranno, in un momento struggente, il fornaio, per farsi perdonare, inviterà loro ad assaggiare un suo pane nero appena sfornato che ha “il sapore di melassa e frumento”. Una cosa piccola, ma buona, appunto che ha una funzione consolatoria, di fraternità, di condivisione. Una cosa piccola, ma buona è successa al Tour de France, anch’esso evento di dimensioni gigantesche, di grande interesse economico, di grande impatto mediatico. È successo, come spesso nel ciclismo, che quando un atleta del gruppo, a maggior ragione se non è uno dei top di classifica, passa nei luoghi nei luoghi natii, entra in gioco una regola non scritta del gruppo che “permette” a quell’atleta una fuga, un traguardo volante, un momento in cui, davanti ai propri cari, essere protagonista. La cronometro di Gevey-Chambertin, omaggio ai vini della Borgogna tanto per rimanere nel perimetro del marketing, passava nei pressi di Nevers, comune di 40.000 anime, dove è nato Julien Bernard, palmarès non indimenticabile (con tutto il rispetto per un atleta che corre al Tour de France, sia chiaro!) la cui notorietà principalmente è quella, scomoda, di essere il figlio di Jean-François Bernard vincitore di quattro tappe vinte al Giro, tre al Tour e una alla Vuelta. Insomma, Bernard impegnato nella sua corsa individuale (era, appunto, una cronometro) decide di fermarsi per qualche secondo, ovviamente senza danneggiare nessuno, per salutare i suoi tifosi e soprattutto per dare un bacio a sua moglie e suo figlio. Il fatto è che l’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) ha ritenuto questo comportamento “sconveniente e inappropriato”, contestando anche un “danno all’immagine dello sport”, sanzionando Julien Bernard con 200 franchi svizzeri di multa, circa 205 euro. Ora, l’entità della multa è minima, tanto che lo stesso Bernard ha giustamente detto “ne pagherei una al giorno pur di rifarlo”, ma ciò che fa riflettere è la caparbietà dell’UCI nella evidente volontà di de-romanticizzare uno degli sport più romantici del XX secolo. Il ciclismo è passato attraverso tempeste, quelle sì, che hanno creato danni epocali all’immagine della disciplina stessa, basti ricordare gli anni di buio del doping, ed è stato capace di resistere e rilanciarsi grazie a nuove generazioni di atleti, ma soprattutto grazie a quel sentimento di affetto popolare che sempre lo ha contraddistinto. Il ciclismo è fatto da qualche centinaio di atleti che corrono, ma soprattutto da decine di migliaia di persone che accorrono da ogni dove e passano ore nell’attesa di veder sfrecciare, quegli atleti, per qualche secondo. Se uno di loro, per una volta, si ferma per restituire quell’affetto, beh non dico che dovrebbe essere premiato, ma certamente non punito. Ne va dell’immagine del ciclismo stesso.
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