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ecnicamente si chiama marginalizzazione delle aree rurali. Detto in altri termini, quanto sta avvenendo – e da tempo – è il progressivo e spesso veloce spopolamento delle campagne e delle aree marginali. Con tutto quello che ne consegue in termini di degrado sociale e ambientale, di rischi idrogeologici e di perdita di un patrimonio non sostituibile. Questione di non poco conto. Che, tuttavia, non appare essere ineluttabile. Anzi, stando a quanto accade in molte aree dello Stivale, molto si può fare. Partendo magari da qualche esempio. È il caso di Comunanza, piccolo centro delle Marche in provincia di Ascoli Piceno, che pare essere “rinato” in virtù dell’incontro tra chi già vi abitava e chi è arrivato: migranti indiani a lavorare nelle campagne che costituiscono ormai il 10% della popolazione del piccolo centro. Un incontro di due culture che sembra funzionare e dare frutto. Tutto seguendo una sorta di parola d’ordine: integrazione. Certo non facile, a tratti difficile, ma possibile. A segnalare quanto sta avvenendo è stata l’Unione Coltivatori Italiani che in una nota ha sottolineato come l’integrazione lavorativa dei migranti possa davvero essere una soluzione concreta «per mantenere vivi i territori e rafforzare il settore agricolo». A patto naturalmente che si facciano le cose per bene. Per questo, «servono politiche di sviluppo strutturate, in grado di garantire servizi essenziali, infrastrutture moderne e opportunità di lavoro». Agricoltura, quindi, come leva fondamentale per il ripopolamento e la crescita sostenibile di territori che rischiano davvero una desertificazione sociale che si significa povertà economica e produttiva dalle conseguenze pesantissime.
Per capirlo meglio, basta tornare a quanto emerso nel corso dell’assemblea 2024 di Anci in cui anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato come gli spazi marginali occupino “il 60% del suolo, dove vivono complessivamente 13 milioni di nostri concittadini”. Luoghi nei quali, come già detto, l’agricoltura riveste un significato cruciale. Sempre che questa attività riesca ancora ad esistere, stretta tra costi delle materie prime, clima non sempre favorevole, infrastrutture non certo perfette. Un’agricoltura che, comunque, ha un peso. Secondo ISTAT, la superficie agricola delle aree interne arriva quasi a 13 milioni di ettari (il 56% del totale), ed è gestita da circa 1,6 milioni di aziende di cui però meno del 40% arriva ad un valore della produzione oltre gli 8mila euro all’anno. Eppure, il futuro passa anche da queste aree. E dalle persone che lì vivono e lavorano, magari arrivando da molto lontano.
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