Luigi Bartolini (Cupramontana 1892–1963) è più noto come incisore – il più grande del nostro Novecento insieme a, e non dopo, Morandi – ma è stato anche un grande scrittore, di una radicalità e originalità comparabili a quelle dei più grandi tra gli irregolari, gli eterodossi, i “provinciali”: i Gadda e i Landolfi, i Comisso, i Delfini, i Barilli, i Loria... Si definì una volta un «anarchico celestiale», e fu antifascista, anche condannato al confino. Affrontò la realtà dal profondo della sua provincia marchigiana (Il mezzano Alipio è probabilmente il suo capolavoro narrativo, anch’esso tra memoriale, diario e invenzione), e già i titoli delle sue raccolte di osservazioni, ritratti e racconti sono di una diversità affascinante, ma che molto irritava certi critici del suo tempo, e in particolare i neorealisti, gli “impegnati”, i populisti: Cane scontento, Ragazza caduta in città, Amata dopo, Signora malata di cuore, Le acque del Basento... (È ben difficile che i timorati gestori dei Meridiani Mondadori possano mai pensare di dedicargliene uno, anche se Mondadori osò in passato dar vita a una serie di Opere di Luigi Bartolini; stonerebbe d’altronde vederlo a fianco di certi diffusori delle idee correnti.)
Il suo libro più famoso, oggi purtroppo introvabile, è ancora Ladri di biciclette, da cui Zavattini e De Sica trassero il loro film seguendone minuziosamente le tracce: due capolavori, libro e film, ma tra loro diversissimi, perché nel suo libro Bartolini raccontava le sue disavventure romane di derubato della bici, fondamentale allora (1945) per la sopravvivenza sua e della famiglia, e lo faceva in una chiave decisamente anti–populista e perfino “cattivista”, dentro una Roma che evocava crudamente Belli. La Morante detestava il cinema che raccontava i romani in chiave affettuosamente ammirata e tollerante, e pensava a film come Domenica d’agosto o come Poveri ma belli, e diceva che il popolo romano era un popolo alla Belli, e niente affatto «col cuore in mano». Quando il film uscì, Bartolini reagì dissociandosene; la polemica che ne seguì è molto istruttiva... Egli fu dunque un grande scrittore oltre che un grande incisore e pittore, e fu anche un poeta irriverente e originale, ironico e autoironico, estraneo alle tendenze del tempo e per questo punito dalle antologie e dalle mode. Pubblicò i suoi versi il bravissimo Vanni Scheiwiller in plaquettes introvabili e preziose. Anche oggi siamo travolti, in letteratura, da bande di neo–neorealisti e neo–populisti, anche se il popolo di cui i romanzi raccontano sono gli autori medesimi e le loro famiglie, i loro simili, reinventati semmai a partire da internet, dalle scuole di scrittura, dalle convinzioni e dai pregiudizi degli editor delle piccole e grandi case sfornatrici di romanzi. Di ben altro ci sarebbe bisogno.
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