Il primo giorno delle Medie scoprii che la mia scuola, un unico edificio con il liceo Parini di Milano, era presidiata dalla Polizia. Per i turbolenti liceali, e non certo per noi piccoli. Ma rimasi colpita da quel manipolo in tenuta antisommossa. Sarebbero stati, in quegli anni violenti, spesso davanti a scuola.
Celerini, li chiamavano con disprezzo i “grandi”, «servi del Potere», gli gridavano. I ragazzi in divisa non rispondevano. Erano molto giovani. I capelli rasati quasi a zero, i volti sopra le divise come uguali, apparentemente tutti simili. Bruni, occhi neri, giovani del Sud reclutati in zone di atavica disoccupazione. Erano i nipoti dei braccianti raccattati a giornata, all’alba, nelle piazze dei paesi. Poi presi a guardarli in faccia, uno per uno: quello giovanissimo, sbarbato, e quello massiccio, tosto, che considerava sprezzante i liceali milanesi ansiosi di rivoluzione. Mi soffermavo sulle loro mani grosse, da genia di braccianti: la rivoluzione, semmai, avrebbero dovuto farla loro.
Alcuni seguivano con gli occhi le ragazze, magari da quelle camionette se ne innamoravano. Ma poi a Milano venivano i giorni di battaglia, di fumogeni e cariche. Era una guerra, vista dal Parini, ma strana: i figli dei borghesi, i “compagni”, contro i figli dei poveri veri. Alla fine, il sabato sera, i celerini in caserma; gli altri, almeno alcuni, a Cervinia, a sciare.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata