Guardiamo al bello, al buono che Dio semina in noi
giovedì 20 luglio 2017
XVI Domenica
Tempo ordinario - Anno A

In quel tempo, Gesù espose alla folla un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Questa parabola mi ha cambiato il volto di Dio. La interpretava con parole luminose padre Giovanni Vannucci, uno dei massimi mistici del '900. Diceva: il nostro cuore è un pugno di terra, seminato di buon seme e assediato da erbacce; una zolla di terra dove intrecciano le loro radici, talvolta inestricabili, il bene e il male.
«Vuoi che andiamo a togliere la zizzania?» domandano i servi al padrone. La risposta è perentoria: «No, perché rischiate di strapparmi spighe di buon grano!». Un conflitto di sguardi: quello dei servi si posa sul male, quello del padrone sul bene. Il seminatore infaticabile ripete: guarda al buon grano di domani, non alla zizzania. La gramigna è secondaria, viene dopo, vale di meno.
Tu pensa al buon seme. Davanti a Dio una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo, il bene è più importante del male, la luce conta più del buio.
La morale del Vangelo infatti non è quella della perfezione, l'ideale assoluto e senza macchia, ma quella del cammino, della fecondità, dell'avvio, di grappoli che maturano tenacemente nel sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita.
La parabola ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dallo stilare il solito lungo elenco di ombre e di fragilità, che poi è sempre lo stesso. La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio ha seminato in noi: il nostro giardino, l'Eden affidato alla nostra cura.
Mettiamoci sulla strada con cui Dio agisce: per vincere la notte accende il mattino; per far fiorire la steppa sterile getta infiniti semi di vita; per sollevare la farina pesante e immobile mette un pizzico di lievito. Dio avvia la primavera del cosmo, a noi spetta diventare l'estate profumata di messi. Io non sono i miei difetti o le mie debolezze, ma le mie maturazioni. Non sono creato a immagine del Nemico e della sua notte, ma a immagine del Creatore e del suo giorno.
L'attività religiosa, solare, positiva, vitale che dobbiamo avere verso noi stessi consiste nel
non preoccupiamoci prima di tutto delle erbacce o dei difetti, ma nel venerare tutte le forze di bontà, di generosità, di accoglienza, di bellezza e di tenerezza che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro potenza e vedremo le tenebre scomparire.
Custodisci e coltiva con ogni cura i talenti, i doni, i semi di vita e la zizzania avrà sempre meno terreno. Preoccupati del buon seme, ama la vita, proteggi ogni germoglio, sii indulgente con tutte le creature. E sii indulgente anche con te stesso. E tutto il tuo essere fiorirà nella luce.
(Letture: Sapienza 12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8, 26-27; Matteo 13, 24-30).
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