Giudici e politica, un conflitto antico che va interrotto per il bene di tutti
venerdì 25 ottobre 2024
Caro Avvenire, non faccio parte dei soliti che vi scrivono “a favore”, quindi anche questa volta la mia lettera non verrà pubblicata. Una domanda: ma chi sono i nostri magistrati? Si sentono al di sopra di tutti e non pagano di tasca propria i loro errori. I giudici sapevano i tempi di trasferimento dei migranti in Albania: hanno aspettato che ciò avvenisse per emettere la sentenza. Certi settori della giustizia, anche in passato, hanno governato l’Italia e la loro azione giustizialista è diretta solo contro certi partiti e personaggi. Paolo Bolognesi Caro Bolognesi, la giustizia, che dovrebbe essere la più spassionata delle attività, in Italia è sempre circondata da polemiche al calor bianco e divisa in fronti ideologicamente contrapposti. Anche la sua lettera, cui rispondo volentieri contro le previsioni che lei formulava, nel proporre questioni importanti, è attraversata da una vena di animosità che non contribuisce alla disamina serena e alla discussione produttiva. D’altra parte, la chiave di lettura dello scontro all’interno delle istituzioni non è un’invenzione delle parti in causa, ma un’interpretazione scientificamente accreditata. Ne danno ampia documentazione gli storici Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, nel loro recente e ponderoso “Conflitto tra poteri. Magistratura, politica e processi nell'Italia repubblicana” (edito dal Saggiatore). Difficile negare che nel dopoguerra la magistratura fosse ancora segnata dall’eredità fascista. Il presidente antisemita del “tribunale della razza” sotto il regime, Gaetano Azzariti, arriverà a essere a capo della Corte costituzionale nel 1957. Senza dimenticare che le donne non potevano diventare giudici (le prime otto entrarono in servizio nel 1965). Dagli anni Settanta, invece, crebbe l’attivismo delle toghe nella direzione di rendere concreti e operanti diritti affermati dalla Costituzione e non ancora generalmente applicati. Anche con eccessi. E con errori, certo. La condanna in primo grado, qualche settimana fa, del pm Fabio De Pasquale per la conduzione non inappuntabile del processo Eni-Nigeria dice che i magistrati possono sbagliare (e commettere reati), ma anche che vengono giudicati e puniti. In ogni caso, non possiamo qui riassumere una lunga storia in poche righe. Quello che occorre oggi ribadire è il rispetto della separazione dei poteri e dell’architettura istituzionale della Repubblica, da parte di tutti e di ciascuno. Quando si esorbita dal proprio ambito o non sembra che si rispetti appieno il limite del proprio ruolo (in questo specifico caso più dalla parte della politica che della magistratura, a mio avviso), ecco che allora ci si pone su una strada pericolosa. E sono messe in torsione le procedure e le garanzie della nostra liberal-democrazia. Se cominciamo a dubitare della lealtà e della buona fede dei protagonisti della vicenda dei migranti confinati in Albania, rischiamo di incamminarci verso scenari dove non sono soltanto le parole a essere stonate e fuori luogo. Ho fatto qualche brutto sogno recentemente, non voglio però evocare scenari che già qualche film ha rappresentato. Pensiamo agli Stati Uniti, dove si va al voto con il timore che il risultato delle urne possa non essere accettato. Come verrebbe considerata la corte dal cui verdetto potesse dipendere la validazione degli esiti contestati? Abbiamo assistito attoniti all’attacco contro il Campidoglio il 6 gennaio 2021, non sorprenderebbe più vedere un assalto ai tribunali. Tuttavia, anche decisioni giudiziarie a favore di uno dei candidati solo per affinità politica potrebbero dare il via a movimenti di piazza. La saggezza e la moderazione auspicate dal presidente Mattarella (e da lui personalmente incarnate) siano davvero guida per tutti. © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI