Germogli di speranza olimpica, attorno a Verdun
mercoledì 26 giugno 2024

Visitando la conca di Verdun, nell’estremo Nord-Est francese, anche i più espansivi e guasconi si fanno piccoli e muti, ripensando al tonfo nel buio che questo luogo rappresentò per la storia dell’umanità, in quel fosco 1916. Nel suo itinerario verso Parigi, giunge qui la fiamma olimpica (29 giugno), traversando le più martoriate terre di Francia, dove ancora, durante una passeggiata, si ritrovano facilmente porzioni lucenti di proiettili d’artiglieria.


A Verdun, giunsero all’epoca pure giovani cavalleggeri, fieri sui loro destrieri. Con in mente immagini belle di vecchie battaglie campali. Ma ben presto, nella conca divenuta una trappola, ogni fibra d’umanità uscì maciullata e in polvere, tanto insensata divenne la densità delle piogge opposte d’artiglieria pesante, fra due grandi nazioni nel cuore dell’Europa civilizzatissima, o presunta tale. E non c’è l’ombra di un essere umano nella tela che rappresenta meglio quell’ingresso brutale nell’era del possibile annientamento totale: in Verdun, di Félix Vallotton, pittore che visse tutto sulla propria pelle, lo spazio-tempo è saturo solo di traiettorie fatali che si direbbero teleguidate da forze automatiche e sinistre, estranee a ogni umano sentire.
Se guardate da vicino la torcia olimpica disegnata per Parigi 2024, affusolata e così diversa da quelle dei Giochi precedenti, colpisce la somiglianza con un proiettile di grossa artiglieria, come quelli che piovono senza sosta nell’Ucraina dilaniata. Così, per un attimo, davanti al simbolo lucente scambiato dai tedofori, s’offusca il cuore, pensando che l’Europa dove tornano le Olimpiadi è pure quella di Mariupol.


Una risoluzione all’Onu promossa dalla Francia, com’è noto, cercherà di far rispettare la tregua olimpica, ovvero la cessazione dei conflitti armati durante i Giochi. Ma quanto fanno i diplomatici, tentando di parlare alle parti in conflitto, non può mai bastare. Occorrono pure, in ogni società civile, dei seminatori pazienti di una cultura della pace.


Di certo, era l’ideale del barone Pierre de Coubertin, che nella pacifica competizione olimpica fra le nazioni fece confluire coscientemente tanti oggetti e simboli caratteristici della sfera militare: giavellotti, frecce, spade, cavalli. L’idea olimpica, disse l’inventore dei Giochi moderni, «è tornata per illuminare la soglia del XX secolo con un sogno di speranza gioiosa». Ciò, evidentemente, non ha potuto granché per impedire Verdun, né oggi Mariupol.


Per questo, mentre pure la fiamma olimpica pare farsi più umile traversando il Nord-Est francese, è giusto salutare l’impegno di quanti, umilmente, continuano a innestare germogli di pace. Come l’associazione Art & Jardins – Hauts-de-France, fondata da Gilbert Fillinger, che lungo la vecchia linea insanguinata del fronte francese continua a riunire semplici cittadini e amministratori locali di buona volontà, assieme a paesaggisti e delegati diplomatici delle vecchie nazioni nemiche, per creare dei ‘giardini della pace’ utili alla riflessione collettiva sugli antidoti alla violenza. Ne esistono già 27, talora particolarmente suggestivi. Germogli olimpici non rumorosi. Innestati per nutrire ancora la speranza in una bellezza salvifica.

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