La recente Giornata Mondiale della Gentilezza mi ha fatto ricordare che in un mondo di scortesia cronica e obeso buzzurrismo, qualcuno che provi a essere cortese, in realtà si incontra ancora. Tracce leggere come zampette impresse nella neve si segnalano ovunque, sporadiche ma resilienti. Le ascolti, ogni tanto, in coda o per strada, e poi non riesci a dimenticarle. Anche se pronunciate con voce sottile, per non sembrare antiche o impopolari: «Grazie, prego, mi scusi, ha bisogno? Se non disturbo, non me ne ero accorto, si accomodi, c’era prima lei, ci mancherebbe...». Sono parole che oliano la vita, la fanno scivolare via meglio. Magari non migliorano le cose, ma generano serenità, annullano per un attimo la sensazione di viaggiare sempre contromano.
Sono ricordi di altri tempi, pennellate di luce che ci inducono a pensare che l’umanità forse non ha smarrito del tutto il seme della convivenza elegante e delicata. Che è tanto bella perché quasi sempre genera emulazione, o almeno obbliga a pensare quando la incontri. Wayne W. Dyer, uno psicoterapeuta americano, ha scritto: «Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile». Probabilmente perché la gentilezza come scelta, e non come consuetudine imposta, è una splendida arma contro l’ostilità, la discriminazione, l’esclusione. Fa crescere uomini con un cuore e una testa, uomini educati, uomini di stile. Soprattutto uomini.
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