Un aborto spontaneo è sempre un trauma per una madre e per un padre, soprattutto se il bambino era intensamente desiderato, e può mettere in crisi il rapporto di coppia, come puntualmente avviene fra Agnese e Andrea, coppia già gracile. Lui, architetto, è un insegnante precario di educazione artistica e tecnica; lei, logopedista, è professionalmente ed esistenzialmente più strutturata: il professor Moissan, incontrato durante un convegno a Lione, le procura perfino un assegno di ricerca.Suggestionato da un servizio televisivo sulla mostra di Rembrandt a New York, Andrea decide di visitarla. Una settimana di vacanza, certamente non meritata, come Agnese gli rinfaccia. Comunque, Andrea parte. Al Metropolitan sta ore e ore a contemplare Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, si identifica con ciascuno dei due figli (non col padre). Il tema è il perdono. La settimana è già passata, Andrea si aiuta a perdere l'aereo di ritorno. Idem, la settimana successiva. Agnese strilla dal cellulare. Andrea getta il cellulare in un laghetto del Central Park. Senza soldi, finisce per vivere da barbone. Ammalato, tra i rifiuti di un magazzino abbandonato, è soccorso da un tredicenne, Benjamin, che ha la vocazione di prendersi cura degli altri, ed è vittima del bullismo dei compagni. È accolto nella famiglia del ragazzo, che ha una gemella, Allison, e una madre, Ary. Il padre se n'è andato poco rimpianto. È accolto anche nel letto di Ary, con soddisfazione di tutti e quattro. Andrea trova lavoro nella ditta di pulizie di un amico, potrebbe aver trovato un equilibrio. Ma Ary stessa gli ricorda che ha una moglie, e un bel giorno prende la via del ritorno. Agnese però aspetta un figlio del professor Moissan, è al sesto mese, e lo scaccia immediatamente di casa. Ospitato per un po' e finanziato da una comunità cinese (Andrea fa da tutor a un ragazzino autistico) decide di ritornare a New York. Non può far altro che introdursi dal Messico come clandestino, e il viaggio è avventuroso e grandguignolesco come un western all'italiana. Ritroverà Ary, Benjamin e Allison, impazienti di riabbracciarlo.Questa (sincopata) è la trama di Se la vita che salvi è la tua, di Fabio Geda (Einaudi, pp. 236, euro 17,50). Il romanzo è matriarcale, nel senso che sono le donne, Agnese, Ary, a condurre la danza, e lo fanno con disinvoltura. I mariti fanno presto a non trovar posto in casa. Del resto, Andrea è fragilissimo, di cognome fa Luna ed effettivamente è lunare. Il marito di Ary era violento, ma lei è stata più forte. C'è poi un contesto di solidarietà, di volontariato, che smussa le durezze della vita: Andrea lo sperimenta con Benjamin, con i compagni dell'impresa di pulizie, con i soccorrevoli che confortano i clandestini che attraversano la frontiera del Messico verso gli Stati Uniti, magari con trenta chili di droga sulle spalle, come tocca ad Andrea che non ha soldi per pagare i polleros, i trafficanti di uomini. Di coerenza morale, di fedeltà, non c'è traccia.Su tutto c'è un'aria di remake. Il quadro di Rembrandt è stato commentato irreversibilmente dall'olandese Henry J. Nowen nel bestseller L'abbraccio benedicente, e nel western di frontiera ci sono dialoghi surreali con il pollero: «Da quanto non siamo ostaggio delle emozioni»; «Non sono d'accordo»; «Non sei d'accordo?»; «No»; «Pensi che le emozioni aiutino le persone a scegliere?»; «Credo che la verità nasca dalla contrattazione. Tra emozioni e razionalità, intendo».Di Fabio Geda Nel mare ci sono i coccodrilli (2010) mi aveva entusiasmato; L'estate alla fine del secolo (2011) mi aveva deluso un po'. Aspetto l'autore alla prossima prova, magari dopo un periodo di riflessione più lungo.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: