Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che parlano in confidenza e sorridono, seduti allo stesso tavolo. Uniti dallo stesso destino. Una immagine iconica della lotta alla mafia, entrata «nell'album di famiglia di intere generazioni», simbolo della voglia di riscatto di una terra tristemente segnata dalla criminalità. La foto per dire: «Non li avete uccisi: le loro idee cammineranno con le nostre gambe». Quella immagine riprodotta ovunque, dai giornali alle lenzuola, dai palazzi di giustizia alle scuole, nelle manifestazioni di piazza e infinite volte diffusa via web, ha un autore. Si chiama Tony Gentile, è un grande fotoreporter siciliano che - prima di volare a Roma alla Reuters e con l'agenzia internazionale girare per il mondo - ha raccontato con passione e coraggio la Palermo insanguinata degli anni Ottanta e Novanta. La Palermo del 1992, quella delle stragi.
Il 27 marzo di quell'anno i due magistrati antimafia intervengono a un convegno. Gentile scatta una serie di fotogrammi. Sceglie di pubblicarne uno. Quello che diventerà l'essenza di una grande storia: «l'intimità tra due grandi amici, la loro complicità, la forza del loro impegno contro la mafia, la capacità di sorridere e di vivere la vita nonostante fossero consapevoli di essere "uomini morti che camminano"». Le stragi di Capaci (il 23 maggio) prima e di via D'Amelio poi (il 19 luglio) arriveranno pochi mesi dopo.
Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, 27 marzo 1992. L'immagine di copertina del volume "Sicilia 1992. Luce e memoria" di Tony Gentile (Silvana Editoriale) - © Tony Gentile
A trent'anni dal 1992 - «solo a sentire quel numero a quattro cifre, anche in lontananza, citate dalla radio o dalla televisione, il mio stomaco si rivolta» - Gentile affida a un libro prezioso, intriso di «dolore e resistenza» il suo racconto: Sicilia 1992. Luce e memoria (Silvana Editoriale, pagine 176, euro 35,00). Per la prima volta fa diventare libro le foto di anni terribili per Palermo e la Sicilia. Ne ha dato una forma di narrazione, di testimonianza e di speranza. Nella "solitudine" e nella "folla", cogliendo gli "sguardi" e partecipando alle "feste" della Sicilia. Dove ci sono "feste e feste": quelle del popolo, della tradizione, del fanatismo, del sacro e del profano, ma le "feste" che non ti aspetti, di chi «festeggia anche brindando con lo champagne dopo aver fatto saltare in aria Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo». Gentile lo fa con severa lucidità. Sa restituire la "memoria" a chi forse vorrebbe dimenticare: «La fotografia assolve fortemente a questo bisogno di memoria, ha nella sua essenza il rinnovamento del ricordo, ed è a questo forte desiderio che io ho dedicato il mio trentennale lavoro. Tutti dovremmo essere responsabili ciascuno a modo proprio della trasmissione della memoria e dei valori inalienabili del rispetto della vita umana. Soltanto in questo modo non sarà inutile il sacrificio delle vittime innocenti. Io spero di avere dato il mio piccolo contributo», scrive il fotografo.
Il contributo di Gentile è immenso. E lo testimoniano le immagini di questo volume. Ma basterebbe una foto. Quella foto. Quella che conosciamo tutti. Quella che sicuramente fa dire "una foto vale più di mille parole". Perché è una icona. È una dichiarazione di appartenenza: io sto con loro. Con Giovanni e Paolo. Uccisi dalla mafia, ma ancora vivi, con le loro idee, i loro volti. Con quella foto. Di un autore «paradossalmente sconosciuto», fa notare Ferdinando Scianna, nell'introduzione al volume. Perché quella foto non è mai, o quasi mai, firmata. Il motivo? Lo facciamo dire all'autorevolezza del primo fotografo italiano ammesso all'agenzia Magnum: «Una faccenda paradossale che affonda le sue profonde radici nell'ignoranza e nella spocchia del nostro mondo politico e giudiziario». «Quando Gentile, giustamente, ha rivendicato i suoi diritti - spiega Scianna - si è persino giunti a processi nei quali gli è stata negata la paternità di autore di quell'immagine. Questo perché nella legislazione italiana è stata introdotta una differenza tra fotografia di cronaca e fotografia d'autore. I giudici in base a questa legge, e a loro insindacabile giudizio, scelgono quale immagine è di cronaca e quale d'autore e, da quale caverna precedente a Platone, hanno sentenziato che quella fotografia non è una fotografia d'autore. Insomma, quella fotografia non l'ha fatta nessuno. Uno scandalo!». Uno scandalo, sì. Una foto che troviamo ovunque - e a cui persino la Zecca dello Stato si è "ispirata" per la moneta da due euro coniata quest'anno per commemorare i due magistrati nell'anniversario delle stragi, realizzata e firmata "Vds", l'artista Valerio De Seta - sarebbe "solo" una foto di cronaca. Certo, è una foto di cronaca, ma non si è fatta da sola. E se quella foto è diventata un patrimonio collettivo, ancora di più l'autore dovrebbe contare. E fare parte di quel patrimonio. Che è la sintesi di anni di impegno, di racconto, di fotocronache di una Palermo che sembrava - è sempre Scianna a parlare - «una specie di Beirut negli anni della guerra, assassinata e trucidata anche lei. Ma qualche volta fa pensare anche alla New York di William Klein, solo che il frastuono della modernità, in questo caso, è quello delle stragi».
Nel giorno dell'anniversario della strage di via D'Amelio, in cui morirono Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) ricordiamo i valori e le idee di chi si è sacrificato per una idea di giustizia e di legalità. Rivediamo i sorrisi di Falcone e Borsellino. Con quello scatto della nostra storia. Senza dimenticare chi stava dietro la macchina fotografica. La sua testimonianza, il suo impegno. Il suo dovere. La sua rivoluzione "Gentile". Che tutti dovremmo compiere, nel nostro piccolo. Per non dimenticare. Grazie Tony, per quello scatto. Luce e memoria.
Una foto e 925 parole.