Comunque finirà la sfida elettorale Trump-Biden sulla quale cala oggi un sospirato sipario, molti osservatori concordano nel prevedere che l'America è destinata inevitabilmente a perdere peso e prestigio nel mondo. Ciò perché entrambi i contendenti non sembrano all'altezza di rilanciare l'immagine e l'autorevolezza del loro Paese, su una scena internazionale ribollente di crisi e angosciata da una pandemia universale.
Da almeno un decennio si discute del resto di un “rischio declino” degli Stati Uniti, giunti al culmine di una evidente fase involutiva, sia nei rapporti internazionali sia in casa propria. Ancora a inizio ottobre, un denso saggio su “The Atlantic” di David Brooks, editorialista del New York Times, parlava di una società americana “spezzata e alienata, intrappolata in un circolo vizioso di sfiducia”. Aggiungendo di aver speso tutta la sua carriera “a confutare l'idea che l'America sia in declino, ma gli eventi di questi ultimi sei anni, e in particolare del 2020, hanno chiarito che viviamo in una nazione distrutta”.
Si apre dunque un interrogativo di grande rilievo per l'Europa, che condivide con gli Usa l'appartenenza all'Occidente. E che dovrebbe chiedersi se non tocca a lei provare a colmare, almeno in parte, il vuoto di leadership lasciato dagli alleati d'oltre Atlantico. Un compito oneroso, a prima vista impossibile dato il differente peso geopolitico, militare e da ultimo anche storico, tra le due entità. Senza contare che il grado di integrazione e la capacità di azione unitaria fra i 27 Paesi dell'Unione sono molto lontani da quelli americani.
Eppure non mancherebbero né le risorse né le aree di intervento, per recuperare credibilità e influenza in un mondo angosciato dall'incertezza sul futuro comune. Alcune piste di lavoro, per così dire, le ha indicate il Papa nella lettera diffusa la scorsa settimana, in occasione di diverse ricorrenze riguardanti i rapporti fra la Ue e la Santa Sede. Partendo dalla convinzione che il nostro continente (a lui “particolarmente caro, non solo per le origini familiari”) debba avere ancora “un ruolo centrale” nella storia umana, “seppure con accenti diversi” dal passato, Francesco sottolinea il “grande spirito di mediazione che caratterizza le istituzioni europee”, capace di operare anzitutto sulla tragedia universale del Covid-19, “mettendo in campo creatività e nuove iniziative”.
In un testo dai toni per niente formali, anzi a tratti appassionati ( tinyurl.com/y4hyyp8g ), Bergoglio ricorda l'appello di san Giovanni Paolo a Compostella (“Europa, ritrova te stessa, sii te stessa!”) e invita ad attingere a una “storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul passato”. La lettera contrappone ai molti sfiduciati sul destino dell'Unione i tanti altri non meno convinti che “essa abbia ancora qualcosa da offrire al mondo e all'umanità”. Il Pontefice si colloca decisamente fra i secondi, esortando a riscoprire quel “contributo originale”, che non consiste in nuove forme di egemonia politica, d'altronde improponibili, ma in una consolidata “concezione dell'uomo e della realtà, nella sua capacità di intraprendenza e nella sua solidarietà operosa”.
Ecco quindi la miscela feconda, in grado di consentire all'Unione di colmare almeno in parte il vuoto che si delinea nel Nuovo Continente. Spirito realmente comunitario all'interno, solidarietà e generosità verso l'esterno: sono le due attitudini di un interlocutore che le altre nazioni possono riconoscere come credibile e meritevole di ascolto. Il che, in concreto, vuol dire rilancio del multilateralismo e della cooperazione internazionale. Senza dimenticare l'“apertura alla trascendenza”, l'unica che in un sistema politico “rispetta adeguatamente la persona umana”.
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