Un canto si è alzato ieri sotto le volte secolari di Santo Stefano a Bologna, attorno al feretro di Claudio Abbado. Forse poco intonato, forse incerto, poco importa. Sicuramente commosso. Era quello del Coro Papageno. Composto da detenuti e detenute della Casa Circondariale, usciti in permesso premio dalle mura della Dozza per salutare il grande direttore d'orchestra. Che quel coro, composto anche da volontari non reclusi, aveva fortemente voluto. Il laboratorio corale, nato in seno all'attività dell'Orchestra Mozart, ha preso avvio nell'ottobre 2011 e ha coinvolto a oggi oltre 80 carcerati. Ma già nel 2005 un laboratorio di percussioni aveva avuto luogo presso l'Istituto Penale Minorile, mentre a ogni stagione concertistica quaranta detenuti sono stati ospitati alle prove generali aperte e ad alcuni concerti. «Non sapevo se ero in grado di cantare. Non lo so quanto sono bravo, ma so dire che mi piace tanto». «Mi chiedevo, se ci fossimo incontrati fuori? Chi sa se la mia strada sarebbe cambiata?». E ancora: «Sensazioni e percezioni intense, mi hanno fatto scoprire una parte di me che non conoscevo». Sono alcune delle lettere inviate da chi ha avuto modo di partecipare al coro. E che danno ragione a Claudio Abbado e a tutta la sua fatica: «Sono sempre stato profondamente convinto che la musica contenga in sé una forza in grado di travalicare i suoi stessi confini. Non c'è solo un valore estetico nel fare musica: dalla sua bellezza intrinseca scaturisce un intenso valore etico. La musica è necessaria alla vita, può cambiarla, migliorarla. E in alcuni casi può addirittura salvarla».
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