Caro Marco Tarquinio,
appartengo a una generazione di vecchi che non sono stati mai bambini. Non si poteva essere bambini in quei terribili anni Quaranta del Novecento vissuti in una Napoli distrutta dalla guerra infame. Chi è vecchio come me conosce bene i disagi di quegli anni... ma oggi non di brutti ricordi voglio parlarle, bensì d’amore! Un amore speciale che per un motivo particolare mia moglie e io dedichiamo a grandi Uomini dello Stato trucidati dalla mafia. Io e Francesca ci siamo incontrati il 23 maggio del 1981 e ci siamo sposati nel 1990, benedetti da monsignor Luigi Bomma-rito, vescovo amatissimo a Catania e non solo qui. Amo Francesca per tutto ciò che mi ha dato e continua a darmi, ma la amo sopra ogni cosa perché è riuscita a cancellare dal mio cuore ogni tristezza e dai miei occhi ogni lacrima facendomi ritrovare quel cuore bambino che le tristi vicende della vita mi avevano rubato e poi gettato via, quel cuore bambino che era tutta la ricchezza che avevo. Lei lo ha raccolto con delicatezza, lo ha curato e guarito con la purezza dei suoi sentimenti, lo ha riempito del suo amore e me lo ha ridato. Purtroppo, trentuno anni fa, era ancora il 23 maggio, si consumava la tragedia di Capaci e la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Da quel giorno la nostra ricorrenza si ammanta di un velo di tristezza ricordando la strage di Capaci e il dolore per la morte di Falcone, di Borsellino e di tutti i servitori dello Stato massacrati da infami senza cuore e senza anima. A questi Martiri dedichiamo il nostro Amore.
Caro Tarquinio,
desidero esprimerle riconoscenza, mia e di altri che condividono la mia opinione, per come ha diretto “Avvenire” per 14 anni. Ho apprezzato l'ampiezza dello sguardo sul mondo che ha potuto mettere in evidenza tante problematiche spesso ignorate dall'informazione corrente, l'obiettività, la serietà delle analisi dei problemi di più viva attualità con proposte costruttive alternative al pensiero corrente. In particolare, ho molto apprezzato lo sforzo del giornale di guardare alla guerra in Ucraina cogliendone la complessità, che coinvolge l’ordine mondia-le, anziché assecondando visioni manichee. Plaudo al coraggio con cui, personalmente, lei ha saputo in più occasioni opporsi al pensiero unico politicamente corretto anche subendo sarcasmi e insulti. Quella di “Avvenire”, che vede la soluzione del conflitto bellico non sul campo di battaglia, ma come frutto di una mobilitazione diplomatica, è stata una voce realistica, profetica, ispirata al Vangelo e al magistero di papa Francesco. Sono contento di continuare a leggerla.
Gentile Marco Tarquinio,
sotto la sua guida “Avvenire” è notevolmente cresciuto sino a diventare - a mio modesto parere - uno dei migliori quotidiani italiani. Credo che lei abbia dato davvero concretizzazione al motto della testata: “La co nsapevolezza cambia il mondo”. “Avvenire” è diventato in questi anni un punto di riferimento fondamentale non solo per la mia informazione, ma anche per il mio lavoro di insegnante. E, da ultimo, ho condiviso con i miei studenti la gioia di vedere pubblicata in grande evidenza una loro lettera con la sua risposta il giorno di Pasqua. Sono contento di continuare a ritrovarla sulle stesse pagine. Le auguro - alla nostra maniera scout - “buona strada” e porgo al nuovo direttore, Marco Girardo, fervidi auguri per la bella impresa che già lo vede protagonista.
Caro Marco Tarquinio,
sono un abbonato di “Avvenire” e voglio esprimerle un sentito e cordiale grazie. Per tanti motivi, ma in particolare per il coraggio di aver “portato fuori” il giornale, in Italia e nel mondo, soprattutto in luoghi e situazioni di cui nessuno parla, facendoci conoscere e approfondendo i temi, sempre vicino alla gente soprattutto ai poveri e a chi fa più fatica. Grazie per il suo tenace impegno per la pace! Buon Avvenire a lei e al nuovo Direttore.
Caro Marco Tarquinio,
solo due righe, per manifestarti gratitudine e riconoscenza per il servizio svolto come direttore di “Avvenire”, con coerenza, intelligenza e, immagino, anche… pazienza. Se un albero si vede (anche) dai frutti, credo che la nostra gratitudine debba essere non inferiore alla splendida fioritura di interesse e di lettori che ha accompagnato la straordinaria fioritura del giornale.
Caro Marco Tarquinio,
sono forse in ritardo per esprimerti un grazie di cuore per il dono della tua penna, persino terapeutica nei miei anni di cagionevole salute. Ti ho letto, e visto, a volte, con il solo conforto nelle tue convinzioni di un Papa che ha attraversato una piazza deserta, ma sono certo che siete entrambi assistiti dallo Spirito esalato dalla Croce, alito di speranza per tutti noi. Esprimo lode al Signore con una preghiera per la tua salute e per i tuoi affetti, certo che continuerai a riversare la tua passione e l’impegno nella nostra comunità di cittadini tesi all'ascolto. Permettimi un ricordo del difficile momento in cui hai iniziato 14 anni fa: il tuo successo sia balsamo postumo per il tuo predecessore e augurio per chi continua « el camino que se hace al andar ».
Ho sempre pensato e, strada facendo, ne ho avuto più volte la prova, che le persone d’amore e di responsabile libertà sono antidoti viventi e potenti nel nostro corpo sociale ai processi degenerativi causati da egoismi e isolamenti, da irrigidimenti, bellicosità e bellicismi… Le altre lettere di oggi sono di cari amici che ringrazio per l’affetto fedele e viandante che hanno per “Avvenire”. È proprio come nel verso di Antonio Machado, echeggiato da Franco Soressi: il cammino si fa andando...