Dovremmo parlare del Napoli capolista in solitaria che con l’ormai classico “corto muso”, stile Antonio Conte, mata anche il Toro con un gol dello scozzese McTominay. Oppure dovremmo meditare sulla pareggite che affligge la Juventus dell’algido Motta che, è vero che ha mezza squadra in infermeria, ma si fa bloccare sul pari (18° pareggio nell’anno solare, 10 quelli della Juve di Allegri, 8° ottenuti dal suo oriundo successore) dal piccolo Lecce del redivivo mister Marco Giampaolo (4 punti in due partite alla guida dei salentini) che con Rebic agguanta i bianconeri, al 93’. Si potrebbe anche discutere del ko (3-1) a sorpresa, della Lazio al Tardini di Parma, con l’avvocato Pecchia che condanna Baroni a un passo dal record, quello della decima vittoria. Ma ogni commento è fuori luogo dinanzi alle immagini del dramma in diretta del giovane viola Edoardo Bove. E il dubbio terribile che mi assale è: ma si può ancora morire di calcio? Il 30 ottobre 1977 ero con mio padre allo stadio Pian di Massiano quando durante Perugia-Juventus Renato Curi cadde a terra e morì davanti a 40mila persone. Aveva 24 anni, il motorino di centrocampo del Perugia dei Miracoli di Ilario Castagner. Lasciava una moglie giovane, Clelia, una figlia piccola, Sabrina, che aveva appena fatto in tempo a stare sulle ginocchia di suo padre e un fratellino, che sarebbe arrivato esattamente nove mesi dopo, il 30 giugno 1978, e i memoria di quel piccolo eroe caduto su un campo di calcio lo battezzarono Renatino. Quella morte si poteva evitare: qualche medico incurante non aveva segnalato l’anomalia cardiaca del povero Curi. Qualcuno invece è stato condannato anche in appello (per responsabilità medica) per la morte del 31enne capitano della Fiorentina Davide Astori, ritrovato cadavere il 4 marzo 2018 nella stanza d’albergo del ritiro viola prima della gara contro l’Udinese. E allora ti chiedi: poteva finire così, al 16’ di Fiorentina-Inter, anche per Edoardo Bove? Il 22enne centrocampista all’improvviso è stramazzato al suolo. Mentre lo trasportavano in ospedale e intanto circolava la notizia dell’arresto cardiaco, ho rivisto nitido nella mia memoria di cuoio il giorno del suo debutto in Serie A nella Roma. Tre anni fa José Mourinho gettò Bove nella mischia all’Olimpico contro il Crotone, chiedendogli il massimo, da mastino difensivo. Per questo lo ribattezzò “cane malato”, per la ferocia agonistica che Edoardo ci mette in ogni sfida. Il suo cuore è giallorosso, ma questa estate ha dovuto accettare il passaggio in prestito alla Fiorentina. Non ha fatto una piega, perché quel ragazzino cresciuto alla Don Orione è uno che sa che questa è il suo mestiere, ma intanto si è preso un bel 100 all’esame di maturità al Giovanni Paolo II di Ostia e si è iscritto alla Luiss Guido Carli di Roma e punta a laurearsi in Economia e Management. Punto tutto sulla sua guarigione e intanto prego mio padre che -con Curi e Astori sta Lassù - è nato lo stesso giorno di Edoardo, il 16 maggio.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: