Una delle sorprese che i Vangeli riservano ai loro lettori sta nel seguente paradosso: sono i peccatori coloro che meglio sanno ascoltare il messaggio di Gesù; che lo cercano con la più grande sete di incontrarlo; che credono nel suo potere di guarire la vita e di risollevarla, di esorcizzare i demoni che ci opprimono, di venire incontro alla nostra miseria e di riconfigurarla con il potere della grazia, di perdonare i nostri peccati. Sono gli squalificati sociali, i più distanti dal tempio e dalla legge, quelli che più spesso mangiano e bevono con Gesù, e che con maggior radicalità aderiscono alla sua proposta, effettuando vere e proprie inversioni a U esistenziali. I giusti di quel tempo, i farisei e gli scribi, guardarono a Gesù con curiosità ma sempre con sospetto, sempre con calcoli ambivalenti, sempre misurando quel che Gesù faceva con il metro del loro proprio codice normativo, sempre giudicandolo. I peccatori, al contrario, si esponevano a Gesù in modo disarmato, confidando che in lui si sarebbe aperta una breccia attraverso la quale Dio avrebbe agito, trasformando l'impossibile della storia in possibile del Regno. Per questo non è il peccato ad allontanarci da Dio. Né è la nostra debolezza a separarcene. Quello che cementa una drammatica distanza è, piuttosto, l'autosufficienza. Quando Pietro si accosta a Gesù e dice «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore», Gesù risponde: «Pietro, d'ora in poi sarai pescatore di uomini».
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