Domenica scorsa, aprendo uno dei più importanti quotidiani nazionali, sono sobbalzato: le sue pagine centrali esaltavano la costruzione di droni come una grande possibilità per l’economia italiana di tirarsi su. Il giorno prima a Kunduz un drone aveva ammazzato 22 tra bambini e medici in un ospedale, diciamo pure «di guerra», di Medici senza frontiere.Sì, l’industria bellica è sempre stata un modo di tirarsi fuori dalle crisi economiche – vedi gli Usa al tempo di Roosevelt. Sì, l’industria bellica è in Italia una delle industrie che non sono in crisi, al contrario. Partendo da questa constatazione mi è venuto di ragionare, sia solo sia con amici che ne sanno più di me, su quali sono i settori dell’economia italiana che non vedono crisi. L’industria delle armi, ed è una. L’industria che lavora per l’infanzia, anche quella non vede crisi, e fanno due. Il ramo della ristorazione, al tempo di Expo, con tutti i suoi addentellati, e su questo ci sarebbe molto da ragionare, in termini antropologici e non solo economici, e sono tre.Si tratta tuttavia di cose economicamente chiare, comprensibili, perfino misurabili. A questi tre rami, la mia ignoranza di economia ma una certa abbondanza di pratiche mi fa aggiungere quello dell’intervento sociale (il vasto campo dello welfare non di Stato, con le contraddizioni che ne vengono ai "buoni" dal dover sostituire appunto lo Stato) e, ultimo ma non ultimo, quello della cultura. Se consideriamo la produzione e la diffusione di cultura – di conoscenze, di opere, di spettacoli – come un tutto piuttosto coerente, come di fatto è, e aggiungiamo al numero degli addetti all’editoria, al cinema, al teatro, ai musei, alle mostre, ai festival, agli «assessorati alla cultura» ma anche «alla comunicazione», la stampa, le radio, le televisioni, la pubblicità, parte del turismo, e se consideriamo cultura – e non può essere altrimenti – anche la scuola di ogni ordine e grado, e quella pubblica e quella privata, si arriva a centinaia di migliaia di persone, si sale a qualche milione di persone.Molti di noi facciamo parte di questa massa, ma abbiamo coscienza della nostra funzione all’interno di un’economia in crisi? Della nostra forza potenziale e delle nostre enormi responsabilità? Ci rendiamo contro dell’altra funzione che questo sistema sociale ci chiede, non solo quella squisitamente economica: quella di "distrarre" masse di persone affinché accettino il mondo così com’è? Nella nostra società forse più che al tempo di Marx, anche se non lo si dice, l’economia è al centro di tutto. Perché gli economisti non parlano anche di noi?
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