venerdì 13 novembre 2020
Uno dei personaggi più affascinanti nella storia del sindacalismo e della sinistra statunitense è stata Dorothy Day, nata a New York nel 1897 e ivi morta nel 1980, autrice di un'autobiografia tra le più dense e intriganti che io conosca, dal titolo Una lunga solitudine. La pubblicò una decina d'anni fa Jaca Book, che editò anche un saggio autobiografico a vasto raggio di Jim Forest, Dorothy Day. Una biografia (2011). Su Dorothy è stata aperta in Vaticano una causa di beatificazione; e di Dorothy ha parlato, nel suo viaggio americano e mi pare anche in altri momenti papa Francesco. Sposata e con una figlia, convertitasi al cattolicesimo intorno al 1927, separata e vissuta poi fino alla fine dei suoi giorni con un compagno di origine francese, Peter Maurin, Dorothy è nota per aver fondato con Peter nel 1933, nei più duri tempi della Grande Crisi, la rivista “The Catholic Worker”, che promosse un movimento di lavoratori cattolici attivo e dinamico, decisamente radicale, e un'organizzazione sindacale assai vicina a quelli di impronta marxista, compresi gli Wobblies che ne furono l'ala più estrema. Dorothy fondò quel giornale e quella organizzazione perché in quel tempo, diceva, «fiorivano i gruppi di pressione, le azioni dirette e il radicalismo in tutti i collettivi operai, eccetto che tra i cattolici». Dichiarò più volte di «condividere con i socialisti e i comunisti molte idee, per esempio quella che afferma: da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo le sue necessità». Ma si dichiarava anche contro ogni dittatura e contro ogni ricatto ideologico, e si dichiarava pacifista e nonviolenta, dimostrandolo nell'azione e nella predicazione. Oltre che cattolica e sindacalista, Dorothy era anche un'anarchica? Su questo ci fu tra i suoi amici e tra i suoi studiosi un certo dibattito, con testimonianze discordanti: si definiva anarchica, dicono alcuni, mentre altri lo negano. Ma questo mi fa pensare anche a un aureo, bellissimo saggio di Jacques Ellul, il grande studioso della storia della tecnica amico di Ivan Illich e di Pierre Bourdieu, pubblicato da Eleuthera, Cristianesimo e anarchia, che molti che si dicono cristiani farebbero bene a leggere. Un confronto tra cristianesimo e anarchismo è anche oggi, penso, di grande attualità (e peraltro su questo confronto ho sempre trovato appassionanti alcune pagine di Enrico Malatesta, in cui egli dichiarava il debito di riconoscenza che il movimento anarchico aveva nei confronti del cristianesimo, in particolare quello delle origini). Per tornare a Dorothy e alla sua vita e alle sue lotte, le ostilità poliziesche e politiche di cui è stata vittima tra gli anni Trenta, la guerra, il dopoguerra e il buio periodo del maccartismo sono state raccontate in alcuni film documentari che purtroppo in Italia non conosciamo. Non direi che la figura di Dorothy e i due libri che ho sopra citato siano noti a sufficienza, e che abbiano lasciato un segno su molti. In questi tempi peggio che grigi (anche di profondo sonno sindacale, anche di profondo sonno giovanile) da Dorothy Day avremmo ancora molto da imparare, credenti e non credenti.
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