Anche a lei è capitato: essere fermata senza una ragione apparente mentre si affrettava ad andare al lavoro, convinta ad entrare in un cellulare della polizia morale, trasferita nella famigerata stazione centrale di Vozara, a Teheran, e lì attendere ore per un verbale, senza poter avvisare nessuno, insultata e molestata dagli agenti. A lei hanno contestato l’abito che non arrivava ai piedi. A un’altra i calzini che non coprivano la caviglia, a un’altra ancora la mancanza di un bottone nell’uniforme...
Un normale giorno di lavoro può diventare un incubo per una ragazza o una donna, nell’Iran degli ayathollah. È stato allora che Nasim Eshqi ha avuto la sensazione di essere morta, almeno un po’: «Sentivo di non esistere più, avevano ucciso la mia dignità, la mia anima. Ero una nullità, uno scarto: fui questo che continuai a ripetermi per mesi». Lei che fin da ragazzina aveva sfidato le regole, convincendo la sua famiglia a farle praticare sport “maschili” come il kickboxing e l’arrampicata, lei che scalava le montagne dell’Iran e di tutto il mondo senza velo in testa, lei che apriva nuove vie di ascesa in coppia con atleti maschi, lei che armata di rampini e corde si era sempre sentita lontano dalle proibizioni e dai precetti.
Nasim da quella caserma di Teheran è uscita avvilita, delusa, arrabbiata. Ma ha continuato a conquistare le montagne dell’Iran, dell’Armenia, della Georgia, della Turchia, anche dell’Italia, forte della sua fama di unica climber professionista iraniana outdoor in un Paese di 80 milioni di abitanti, imitata da poche centinaia di atlete che si cimentano in palestra, con orari separati dagli uomini. «Quando arrivi ai piedi di una parete, nessuno ti chiede il passaporto. Davanti alla montagna siamo tutti uguali», ama dire.
Nasim Eshqi - ANSA
Il momento della ribellione è arrivato molti anni dopo, nel settembre 2022: lei, ormai divenuta un simbolo di libertà, si trovata a Chamonix quando la raggiunse la notizia della morte della giovanissima Mahsa Amini, entrata con le sue gambe a Vozara e picchiata brutalmente fino al decesso. Per Nasim fu una scossa. Tutto si fermò e in lei avanzò un sospetto: «Fino a quel momento l’unica ragione per cui non ero stata arrestata era il fatto che mi limitavo a parlare di montagna, e mai di società, o di diritti umani, o di politica. Forse io stessa ero una pedina, usata per mostrare all’Occidente che il regime non era poi così cattivo, e che in Iran ci si arrampica, si ride e si viaggia liberamente. Ero forse utile a ‘normalizzare’ l’immagine dell’Iran all’estero? Per questo non mi arrestavano?». Da allora, nel nome di Mahsa Amini, Nasim non è più tornata in patria. È diventata, come lei stessa ha scritto nel suo libro-memoir appena pubblicato “Ero roccia ora sono montagna”, (con Francesca Borghetti, Garzanti, pagg. 173, euro 18) «un megafono della proteste, un messaggero di questa rivoluzione che prima o poi sovvertirà il regime».
La vita di Nasim, che proprio oggi compie 42 anni, è stata tutta all’insegna di una sfida alle convenzioni che la religione e l’oppressione islamica in Iran le dettavano: nello sport, nei viaggi, nell’ascesa solitaria verso le vette più inesplorate proprio per sottrarsi al controllo dei guardiani della rivoluzione, nella ricerca di un amore libero di esprimersi. Una piccola roccia che giorno dopo giorno, appunto, è diventata montagna. Da quel settembre 2022, Nasim Eshqi - il suo nome vuol dire brezza gentile - usa i suoi social per criticare il regime islamico, e divulga la sua storia ogni volta che le è possibile. «Per gli estremisti le donne non hanno diritti. Il mio messaggio è per tutti i Paesi del mondo: racconto la vita di una ragazza che insegue un sogno arrampicandosi sulle montagne, una ragazza in cui milioni di altre si possono identificare». E dare voce alle ragazze che non ce l’hanno: «Ci sono tantissime minorenni in Iran, che vengono promesse a uomini anziani da quando hanno nove anni. Voglio essere la loro voce. Io sono stata malmenata, arrestata. Non facevo altro che piangere e pensare al suicidio. E questa situazione orribile è la stessa per moltissime altre donne, che non hanno avuto il privilegio, come me, di scalare le montagne».