Caro Avvenire, forse sarebbe opportuno che il tribunale dell’Aja, ispirandosi a quello che succede negli Stati Uniti, sospendesse il giudizio finché la persona accusata ha incarichi di governo.
Francesco Zanatta
Caro Avvenire, un vero spirito libero oggi, al solo sentire le parole “Corte Penale Internazionale”, dovrebbe avere un attacco di orticaria. Infatti, il principale nemico della democrazia è la concentrazione di potere, che deve essere diffuso. Con la Cpi, al Potere globalista basta controllarne i componenti per controllare il mondo, fare arrestare chi dà fastidio, anche se solo si difende.
Pasquale Graziano
La Spezia
Cari lettori, la nascita della Corte penale internazionale è stato un grande passo avanti per l’idea di un diritto cosmopolitico, come lo definì Immanuel Kant, per cui siamo tutti cittadini del mondo e dobbiamo godere di alcune garanzie universali. Ovviamente, si può constatare, come diceva lo stesso Kant, che dal legno storto dell’umanità nulla di dritto è mai stato fatto. Siamo creature imperfette e tutte le nostre realizzazioni condividono questa qualità. Eppure, il fatto che 124 Stati abbiano promosso uno strumento per rendere operativo il principio che non vi sia impunità per i peggiori crimini di guerra (e non solo) dovrebbe farci sperare in un progresso morale dell’umanità. Nel secolo dei più spaventosi conflitti della storia (il XX), abbiamo varato le Convenzioni di Ginevra, che per la prima volta stabiliscono regole esplicite per la condotta dei belligeranti, chiedendo la tutela dei civili e dei prigionieri, il divieto di prendere ostaggi o di uccidere chi è sotto protezione. Poi dalla Conferenza di Roma del 1998 è nata la Cpi, l’organismo chiamato a dare concretezza a questi obblighi, qualora i singoli Paesi non procedano al giudizio o all’estradizione dei sospettati. Certo, oggi il punto è il mandato d’arresto contro Benjamin Netanyahu. Bisogna però intendersi. Se ragioniamo di simpatie politiche e ideologiche o di alleanze strategiche, allora può essere giusta l’incriminazione di Vladimir Putin e sbagliata quella del premier di Tel Aviv (qualcuno in Italia l’ha scritto in modo esplicito). O viceversa, naturalmente. Quando, tuttavia, si discute di diritto, non è in gioco il Potere, caro Graziano, perché la giurisdizione è esattamente il controllo del potere (come lei lo intende) da parte della legge, sebbene venga esercitato un potere di tipo diverso. Quanto deve rifarsi a ragioni di opportunità l’esercizio degli strumenti tipici di un’inchiesta, si chiede invece lei, caro Zanatta. Qui, penso, vi sono margini per opinioni diverse. Finissero in nulla le azioni promosse nei confronti dei leader russo e israeliano, la Corte subirebbe un colpo di credibilità da cui si rialzerebbe in tempi lunghi. Andasse in porto qualcosa, cambierebbero gli scenari globali. Il punto sono le prove oggettive che vanno portate per dimostrare la colpevolezza degli accusati. È forte la tentazione di sostenere che per Putin sono già ampiamente raccolte. Per Netanyahu la sproporzione degli attacchi su Gaza che hanno coinvolto migliaia di donne e bambini sembra palese: rientra però nella fattispecie dei reati specifici? Fa pensare che i tre incriminati di Hamas per il pogrom del 7 ottobre sono già stati eliminati da Israele. Uno dei promotori della Cpi, il noto giurista americano Benjamin Ferencz, già procuratore ai processi di Norimberga contro i nazisti tedeschi e ferreo sostenitore della legalità internazionale, condannò persino le uccisioni extragiudiziali da parte degli Stati Uniti di Osama Benladen e del generale iraniano Qasem Soleimani, autorizzate dai presidenti Obama e Trump. Per dire, cari lettori, che, se si vuole essere coerenti con i propri principi, bisogna avere il coraggio di affermare con gli antichi: “Platone è un amico, ma più amica è la verità”. Poi (chi lo può negare?), ci sono l’autodifesa legittima, il realismo politico, le situazioni grigie, il quieto vivere, e tutto quello che ci rende legno storto. Netanyahu sia prosciolto, se non ci sono elementi sufficienti a una condanna. Ma teniamo viva la fiamma del diritto, e dei diritti.
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