Con tutto il nostro peso, noi esseri umani non cessiamo mai di aspirare alla leggerezza. Possiamo non averne coscienza, possiamo anche sentire che i nostri giorni sono come piombo e, nel groviglio di tutto quello che ci tocca vivere, sperimentare sempre e unicamente il contrario della leggerezza. Nondimeno, siamo abitati da un persistente e inesauribile desiderio di ciò che la leggerezza significa, anche quando tale desiderio si esprime soltanto come un disincontro, un tormento, un naufragio o una sete. Mi tornano alla memoria i versi di una poesia di Antonia Pozzi: «Desiderio di cose leggere/ nel cuore che pesa». Noi siamo «desiderio di cose leggere»: e dobbiamo ricordarlo a noi stessi. Perché, se è vero che l'universale legge di gravità ci tiene incollati alla terra, è anche vero che in noi pulsa una tensione di trascendenza. Se è vero che siamo impastati nell'argilla, siano anche aerei e leggeri come il soffio di Dio. Per Italo Calvino, leggerezza era una delle poche parole essenziali per questo nuovo millennio, ma fu ben chiaro sul fatto che il cammino per approssimarvisi esige una conversione del nostro modo di guardare alla vita. Liberata dagli equivoci che la assediano (per esempio quando è confusa con qualcosa di meramente superficiale o futile), la leggerezza ci insegna qualcosa di fondamentale sull'arte di essere.
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