Mi è già capitato, qualche anno fa, di raccontare e commentare in questa rubrica un "ritiro" da Facebook. Si trattava di un utente appena affacciatosi sul social network malgrado un suo pregresso «cattivo rapporto», tradottosi in intollerabile disagio allorché gli è parso di non poter/saper gestire le «amicizie» con la selettività e la riservatezza desiderate. Il caso che mi è capitato sott'occhio in questi giorni riguarda invece una persona che ha grande familiarità con la Rete, essendo una professionista della comunicazione. Si tratta di Arianna Prevedello, apprezzata e appassionata esperta di cinema (è vicepresidente dell'Acec, l'associazione delle sale della comunità) nonché scrittrice. Il post ( bit.ly/2sBXlVH ) con il quale ha motivato, il 6 gennaio scorso, la sua decisione di chiudere il «profilo Facebook e pagine abbinate» – ma non il sito-blog "Violadelpensiero" ( bit.ly/2FZz276 ), appena tornato attivo dopo un anno sabbatico – parla di alcune problematiche toccate con mano per lavoro e di «dubbi personali sulla qualità di questa "relazione" digitale».
Il punto, dice, è il grande squilibrio tra il tanto che, sostanzialmente, i gestori del social network ottengono dai propri utenti, servendosene per scopi commerciali, e il poco che, sotto la voce «assistenza», essi offrono. «Non sento la giusta "corrispondenza", una bellissima parola necessaria per valutare un social network. La comunità digitale per me ha valore ma non a queste regole sproporzionate tutte da una parte». Niente da rimproverare invece «alle tante persone con cui ho condiviso questa esperienza digitale e verso le quali ho una sana gratitudine per ogni parola condivisa». A loro propone di mantenere i rapporti attraverso i propri libri, dove sa di esprimersi in forme «più ponderate di quelle che a volte come tutti improvvisiamo di pancia di fronte alla richiesta "a cosa pensi?"». L'allusione è alla domanda con cui Facebook ci incalza a ogni consultazione. Meglio, secondo la Prevedello, pensare di più e leggerla di meno.
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