Il film che ho visto più spesso nella vita è Il ladro di Bagdad del 1939, una super-fiaba in technicolor (nel '39 i film a colori erano rarissimi) girata in studio in Inghilterra con un cast internazionale, dai produttori ai tecnici agli attori, formato in gran parte da fuggiaschi dalla Germania e dall'Austria nazistizzate. L'ho visto da ragazzino, subito dopo la guerra, e l'ho rivisto decine di volte perché presi l'abitudine, ogni volta che lo davano, di portarvi i bambini che conoscevo o con cui lavoravo, quelli in particolare delle baracche di Palermo o delle borgate romane ma non solo. Il successo era assicurato, e solo con Charlot e Ollio e Stanlio se ne ottenevano di paragonabili. Il ladro di Bagdad resta però il mio film prediletto, e rivedendolo un'ennesima volta di recente (in dvd) per mostrarlo a figli di amici, l'incantesimo si è verificato ancora una volta, l'entusiasmo si è contagiato. A colpirmi è stato di nuovo il finale: quando tutto precipita e sembra che i cattivi stiano per vincere, arriva dal cielo – su un tappeto volante che ha "rubato" ai vecchi saggi del mondo eterno – il ladruncolo fedele al suo principe spodestato, che sta per essere giustiziato, salvandolo e spingendo il popolo alla rivolta. Ma quando il principe lo nomina suo successore e gli promette anni di istruzione scolastica per renderlo degno di siffatto onore, il ladruncolo salta di nuovo sul tappeto volante e fugge verso altre avventure, dentro altre fiabe. Perché questo doppio finale continua a piacermi? Perché si rifà al mito eterno del bambino salvatore, il bambino celeste della tradizione cristiana («Tu scendi dalle stelle», cantò sant'Alfonso) ma anche il bimbo miracoloso di altre tradizioni, il puer aeternus studiato da Jung, da Hillman, da Marie-Louise von Franz e da tanti altri, e cantato, per esempio, da Barrie come Peter Pan e da Saint-Exupéry come Piccolo Principe. Il piccolo Abu alias «ladro di Bagdad» ne è, grazie al cinema, una versione più semplice e accessibile. L'archetipo e il mito ci si accostano attraverso la fiaba mantenendo bensì la loro densità e poesia presso il pubblico dei bambini. E ricordando agli adulti la speranza della salvezza dalla brutalità della Storia a opera dei più puri. E mi piace pensare anche a Giulio Regeni come a uno di loro.
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