Volere Dio con tutte le proprie forze fino a entrare nel suo cuore tanto da non temere nessuna ferita, nessuna sofferenza e diventare segno di luce: la parabola esistenziale di santa Elisabetta della Trinità, al secolo Elisabetta Catez, è l’icona profetica del cammino verso la luce vera cui è chiamato ogni battezzato. Era nel campo militare di Avor presso Bourges in Francia il 18 luglio 1880, trasferendosi poi a Digione con la famiglia; rimase orfana di padre a sette anni. Il 19 aprile 1890 ricevette la Prima Comunione, l’anno dopo la Cresima, coltivando il sogno della consacrazione fin da giovane: nel 1894 pronunciò un voto privato di castità. Solo alla maggiore età, però, la madre, che da vedova sperava di vedere la figlia sposata, le permise di entrare nel Carmelo: era il 2 agosto 1901. L’11 gennaio 1903 fece la professione religiosa, appena poco prima di scoprire di avere il morbo di Addison. Nonostante le sofferenze provocate dalla malattia, Elisabetta visse questo suo Calvario nella totale fiducia in Dio, nella certezza di essere immersa nella vita della Trinità. «O mio Dio, Trinità che adoro» era la sua invocazione. Morì a 26 anni il 9 novembre 1906. È stata beatificata il 25 settembre 1984 ed è santa dal 16 ottobre 2016.
Altri santi. Sant’Agrippino di Napoli, vescovo (III sec.); sante Eustolia e Sopatra, monache (VI sec.).
Letture. Dedicazione della Basilica Lateranense. Romano. Ez 47,1-2.8-9.12; Sal 45; 1Cor 3,9-11.16-17; Gv 2, 13-22.
Ambrosiano. 1Re 8,22-23.27-30; Sal 94 (95); 1Cor 3,9-17; Gv 4,19-24.
Bizantino. 1Ts 2,1-8; Lc 12,48b-59.
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