
Mia madre non mancava di farmelo notare, quando io ero un bambino e lei si occupava del bucato: il modo migliore di avere degli abiti puliti non è lavarli, ma non sporcarli – e dunque non bisognava rotolarsi nell’erba, arrampicarsi sugli alberi o rivoltarsi nel fango con la scusa che tanto i vestiti poi si lavano. Sarebbe stata probabilmente poco contenta di scoprire che l’ultima delle numerose beatitudini presenti nella Bibbia insegna appunto il contrario: «Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città» (Ap 22,14).
Contrariamente alla sua saggezza di madre, il versetto contraddice anche le nostre concezioni di perfezione, la quale consisterebbe nell’assenza di sporcizia. “Beati coloro che si sono preservati dal peccato”, ci aspetteremmo di leggere, là dove invece Dio ci dice che la felicità è promessa non ai perfetti, ma a coloro che accolgono la sua misericordia, a coloro che sanno che il suo amore è più grande delle nostre colpe. È a loro che viene promessa la Gerusalemme celeste, la vita eterna: a quanti sanno che non potranno mai essere bianchi con le proprie forze, ma che si lasciano lavare nel sangue dell’Agnello.
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: