AI, la riunione segreta dei giganti del digitale
venerdì 15 settembre 2023
Una riunione a porte chiuse. Con nella stanza tutti i signori del digitale. Sam Altman (OpenAI, creatore di ChatGPT), Sundar Pichai (capo di Google), Elon Musk (X, Tesla, Starlink e non solo), Bill Gates (ex Microsoft e ora a capo della più grande Fondazione del mondo), Mark Zuckerberg (Meta) e altri big del genere si sono incontrati a Washington con alcuni senatori americani per parlare del futuro dell’intelligenza artificiale. Abbiamo scelto una riunione privata, hanno spiegato, per poterci confrontare più liberamente. Si sa come vanno queste cose. In teoria nessuno dovrebbe dire niente. In pratica, alla fine, un sacco di cose trapelano comunque. E interessano anche noi, perché in quella stanza c’era gente che gestisce giganti le cui decisioni impattano su aspetti importanti delle nostre vite. La prima (apparentemente) buona notizia emersa è che tutti (politici e signori del digitale) hanno concordato sull’urgente necessità che l’America approvi una legislazione che regoli l’intelligenza artificiale. In realtà in campo ci sono posizioni molto diverse: c’è chi vuole una legge che difenda innanzitutto le aziende digitali americane da quelle straniere e chi gioca crede in un processo globale. «Questa è una delle questioni più difficili che il Congresso possa mai affrontare» ha dichiarato al termine il leader della maggioranza Chuck Schumer che ha organizzato l’AI Insight Forum. È vero: l’argomento è così complesso che finche ci diciamo che l’intelligenza artificiale va regolamentata, siamo tutti d’accordo, come i big del digitale e i senatori chiusi nella stanza di Washington. Ma quando dobbiamo entrare nei dettagli (tipo: cosa andrebbe vietato e cosa andrebbe permesso, quali i confini da fissare eccetera) ci accorgiamo che in campo ci sono decine di aspetti e di interessi. Per affrontarlo bene merita lunghe riflessioni e tempo. Ma tempo non ce n’è. Perché il mondo tecnologico (soprattutto cinese, indiano ma non solo) corre. E chi non corre rischia di perdere una montagna di soldi. Così c’è un alto rischio di sbagliare per colpa fretta. Per Eric Schmidt «l’Ue è andata troppo in fretta, ora deve fare marcia indietro». Si riferiva alle modifiche di giugno alla bozza della legge sull’intelligenza artificiale per tenere conto dei progressi fatti dall’intelligenza artificiale generativa. In campo, l’abbiamo capito da tempo anche tutti noi, ci sono molti aspetti. L’etica, la privacy, il copyright, la perdita di posti di lavoro; la voglia di cavalcare un nuovo enorme business e il bisogno che tutto non sia solo soldi e affari ma pensi anche a farci crescere come società e come persone. Per Bill Gates l’intelligenza artificiale potrebbe persino aiutarci a battere la fame nel mondo, come ha spiegato ai senatori.
La soluzione americana dovrà essere prodotta (abbastanza) in fretta e dovrà essere bipartisan. Una cosa che (giustamente) non è piaciuta ai 60 senatori invitati è che non hanno potuto porre domande ai signori del digitale. La senatrice Elizabeth Warren all’uscita si è lasciata scappare: dobbiamo mettere fine al trattamento speciale riservato alle grandi aziende tecnologiche. Le stesse aziende che hanno ribadito che devono essere loro a fissare lo standard dell’IA, se l’America vuole rimanere leader in questo campo .Poi hanno spiegato che per innovare davvero e portare a trasformazioni nell’IA perché possa aiutare a curare il cancro, combattere la fame o rafforzare la sicurezza nazionale occorrono investimenti statali. Come a dire: per fare del bene dovete pagarci. Non il massimo come inizio. © riproduzione riservata
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