Ricerche scientifiche recenti documentano come il silenzio rischi sempre più di essere in via di estinzione. Dopo gli umani, anche gli animali, per sovrastare il frastuono di traffico, onde sonore e macchinari, sono costretti ad alzare la voce. Le cavallette che vivono accanto alle strade devono "gonfiare i polmoni" per parlarsi, come sott'acqua le balene assordate dalle navi. Le comunicazioni più disturbate sono quelle amorose. Il dilemma di fronte al quale si trovano le rane studiate nell'università di Melbourne è esemplare: alle femmine piacciono i maschi dalla voce grave e profonda, ma i maschi, per riuscire a farsi ascoltare, accentuano gli acuti, disorientandole. Gli adattabili passeri hanno cambiato i loro canti in melodie poco articolate e facili da percepire. Non potremo più contare sul «conforto e diletto» di cui parla Leopardi elogiando gli uccelli nelle Operette morali. «E ciò credo io che nasca principalmente (…) da quella significazione di allegrezza che è contenuta per natura, sì nel canto in genere, e sì nel canto degli uccelli in ispecie. Il quale è, come a dire, un riso, che l'uccello fa quando egli si sente star bene e piacevolmente». Controcorrente, confidando che il silenzio, il canto, l'allegrezza e il privilegio di ridere continuino a rimanere tra noi, lo dico a voce bassa, il mio saluto di fine anno e il mio grazie.
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