Il bacio davanti all'Hôtel de Ville, 1950, è uno dei più celebri della storia della fotografia. Una immagine di cui si sa tutto. Quanto fosse rivoluzionaria e quanto costruita, gli aneddoti dei protagonisti e gli strascichi giudiziari. «Mio nonno collaborava con la rivista Life, che nel 1950 gli commissionò un soggetto sull'amore a Parigi - racconta la nipote Clémentine Deroudille nel film Robert Doisneau, Le Révolté du merveilleux, 2016 -. All'epoca non ci si baciava per strada con la stessa facilità di oggi, per cui gli servivano degli attori per costruire la scena come un regista. Così ingaggiò due allievi del corso di teatro Simon per interpretare due innamorati. Per loro non fu difficile entrare nella parte: si frequentavano assiduamente al di fuori del palcoscenico. Li fece posare un po' dappertutto a Parigi: alla Madeleine, in Place de la Concorde, su un autobus diretto a place du Châtelet, vicino al Bhv, un famoso negozio davanti all'Hôtel de Ville. Trovò l'angolazione, gli innamorati si misero in posa, dietro di loro passò un signore col basco: la fotografia era pronta. Lo scatto venne pubblicato insieme ad altri baci senza suscitare particolare entusiasmo… fino al giorno in cui, negli anni ottanta, a mio nonno venne proposto di farne un poster. Appena pubblicata, questa immagine diventò un simbolo non solo di una generazione, ma di un'idea che avrebbe fatto il giro del mondo: la Parigi bohémienne, la Parigi degli innamorati, la Parigi della libertà». Il bacio è così diventato lo scatto che ha consacrato la fama di Robert Doisneau. Ma il fotografo nato nel 1912 nel sobborgo parigino di Gentilly (e scomparso nel 1994 lasciando un'eredità di 450mila negativi) è molto altro. Lo si può ammirare e scoprire nella mostra originale curata da Gabriel Bauret che Palazzo Roverella di Rovigo gli dedica fino al 30 gennaio (il catalogo è di Silvana Editoriale, pagine 176, euro 28,00): 130 stampe ai sali d'argento in bianco e nero provenienti dalla collezione dell'Atelier Robert Doisneau di Montrouge, da cui emerge la sua capacità di raccontare la felicità. Che abita in maniera semplice e spensierata nelle periferie, nelle banlieue della sua città.
Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati. «Quello che cercavo di mostrare era - ricorda l'artista - un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».
Les frères, rue du Docteur Lecène, Paris, 1934 - © Robert Doisneau
Sguardi teneri, gesti gentili. Di persone, coppie, lavoratori e bambini. Soprattutto bambini, l'immagine più bella della felicità. Anche dove non te l'aspetti. Fra le strade polverose, le periferie abbandonate, i vicoli più anonimi che si animano e si trasformano in una festa. Gruppi che suonano i campanelli, altri che corrono con i pattini, che giocano a indiani e cowboy o che fanno acrobazie come nella foto che abbiamo scelto, di due fratelli che camminano sulle mani sotto lo sguardo curioso di altri ragazzini. Una foto perfetta. «La macchina fotografica - diceva Doisneau - inquadra i bambini dall'alto sfruttando il campo lungo, da un punto di vista al tempo stesso paterno, protettivo e complice. Questa esaltazione della famiglia tesse trame segrete e sacre tra i personaggi fotografati (…), una troupe di attori volontari che "si fanno gli occhi dolci" e gestiscono con cognizione di causa spazi e scenari costruiti su misura».
Bambini di strada. Ma anche fra i banchi. Come quelli del servizio sull'Informatiuon scolaire, nel 1956. Alunni con lo sguardo perso in chissà quali elaborazioni mentali, altri che discutono o giocano in ultima fila. Sì, «all'ultimo banco era tutta un'altra storia - come riporta Robert Doisneau. La Loire, edizioni Baluze, 20221 -: c'era la barricata di resistenza pedagogica, una specie di diffidenza paesana sulla quale rimbalzavano tutte queste informazioni impossibili da controllare. (…) Le uniche a oltrepassare la linea di difesa erano le nozioni piacevoli che andavano ad alimentare la nostra immaginazione».
Che si tratti di fotografie realizzate su commissione o frutto del suo girovagare liberamente per Parigi, c'è uno stile definito, impregnato di una particolare forma mentis, che traspare anche negli scritti e nelle didascalie delle foto; uno stile che mescola fascino e fantasia. Quello di Doisneau è un raccontare leggero, ironico, che strizza l'occhio con simpatia alla gente. «Mi piacciono - continua - le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori». Chapeau, caro Doisneau.
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