Accogliere Maria Madre di Dio ci libera dalla “orfanezza spirituale”, quando si perdono i legami e il senso di appartenenza, e così l’uomo degrada gli altri, Dio e se stesso. Lo sottolinea il Papa nell’omelia alla Messa celebrata nella Basilica vaticana, nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 50.ma Giornata Mondiale della pace. Francesco ricorda le madri che, perfino nei momenti peggiori, sanno testimoniare la forza della speranza. Il servizio di Debora Donnini per Radio Vaticana
Maria, Madre di Dio, e le tante mamme che danno la vita per i propri figli, sono al centro dell’omelia di Francesco nella prima Messa dell’Anno 2017, in una giornata intiepidita da un sole splendente e rallegrata dal cielo terso.
Una società senza madri sarebbe una società senza pietà
“Celebrare la maternità di Maria come Madre di Dio e madre nostra all’inizio di un nuovo anno” significa ricordare che “non siamo orfani”, sottolinea Francesco. Per spiegare concretamente questo, il Papa richiama l’esperienza delle madri che sono “l’antidoto più forte” contro le chiusure: “Una società senza madri sarebbe non soltanto una società fredda, ma una società che ha perduto il cuore, che ha perduto il ‘sapore di famiglia’. Una società senza madri sarebbe una società senza pietà, che ha lasciato il posto soltanto al calcolo e alla speculazione. Perché le madri, perfino nei momenti peggiori, sanno testimoniare la tenerezza, la dedizione incondizionata, la forza della speranza”.
Le madri danno la vita per i loro figli
Tra le preghiere della Messa anche una dedicata proprio alle mamme. Il Papa le ricorda, le tante madri che “non si arrendono”, “dando letteralmente la vita”: “Ho imparato molto da quelle madri che, avendo i figli in carcere o prostrati in un letto di ospedale o soggiogati dalla schiavitù della droga, col freddo e il caldo, con la pioggia e la siccità, non si arrendono e continuano a lottare per dare loro il meglio. O quelle madri che, nei campi-profughi, o addirittura in mezzo alla guerra, riescono ad abbracciare e a sostenere senza vacillare la sofferenza dei loro figli”.
L’orfanezza spirituale: quando si spegne il senso ci appartenenza e degradiamo tutti
Quindi “iniziare l’anno facendo memoria della bontà di Dio nel volto materno di Maria, nel volto materno della Chiesa”, nei volti delle nostre madri, protegge “dalla corrosiva malattia della ‘orfanezza spirituale”, che l’anima vive quando “si spegne in noi il senso di appartenenza” a una famiglia, a un popolo, “al nostro Dio”, rammenta Francesco. Un’orfanezza che trova spazio nel “cuore narcisista” che sa guardare solo i propri interessi e dimentica che la vita è dono. L’orfanezza autoreferenziale è quella di Caino che si chiede: “Sono forse io il custode di mio fratello?”, cioè non lo riconosce: “Un tale atteggiamento di orfanezza spirituale è un cancro che silenziosamente logora e degrada l’anima. E così ci degradiamo a poco a poco, dal momento che nessuno ci appartiene e noi non apparteniamo a nessuno: degrado la terra perché non mi appartiene, degrado gli altri perché non mi appartengono, degrado Dio perché non gli appartengo… E da ultimo finisce per degradare noi stessi perché dimentichiamo chi siamo, quale ‘nome’ divino abbiamo. La perdita dei legami che ci uniscono, tipica della nostra cultura frammentata e divisa, fa sì che cresca questo senso di orfanezza e perciò di grande vuoto e solitudine”.
Non siamo merce, siamo popolo di Dio: bisogna creare spazi comuni
La mancanza di contatto fisico (e non virtuale) fa perdere la capacità della compassione, l’orfanezza spirituale “ci fa perdere la memoria” di cosa significhi essere figli, nipoti, genitori, nonni, amici, credenti. Quando si perde la memoria del valore del riso, del riposo e della gratuità. Invece celebrare la festa della Santa Madre di Dio, “ci fa spuntare di nuovo il sorriso” perché sentiamo di appartenere: “Di sapere che soltanto dentro una comunità, una famiglia le persone possono trovare il ‘clima’, il ‘calore’ che permette di imparare a crescere umanamente e non come meri oggetti invitati a ‘consumare ed essere consumati’. Celebrare la festa della Santa Madre di Dio ci ricorda che non siamo merce di scambio o terminali recettori di informazione. Siamo figli, siamo famiglia, siamo popolo di Dio”. E quindi è una festa che spinge a creare spazi comuni che ci facciano sentire a casa dentro le nostre città.
La tenerezza non è una virtù dei deboli ma dei forti
Maria infatti è la donna che sa custodire nel suo cuore il passaggio di Dio nella vita del suo popolo, che ha imparato a essere madre e “in quell’apprendistato”, ha donato a Gesù la bella esperienza di sapersi Figlio. Nei Vangeli Maria non fa grandi discorsi ma custodisce la missione del Figlio e tutto quello che Lui ama, e accompagna “le croci caricate nel silenzio del cuore dei suoi figli”:
“Tante devozioni, tanti santuari e cappelle nei luoghi più reconditi, tante immagini sparse per le case ci ricordano questa grande verità. Maria ci ha dato il calore materno, quello che ci avvolge in mezzo alle difficoltà; il calore materno che permette che niente e nessuno spenga in seno alla Chiesa la rivoluzione della tenerezza inaugurata dal suo Figlio. Dove c’è una madre, c’è tenerezza. E Maria con la sua maternità ci mostra che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, ci insegna che non c’è bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti”.
Accogliere Maria per essere liberati dall’orfanezza spirituale
Il Papa invita, in conclusione, ad accogliere il suo sguardo materno, che libera dall’orfanezza, che ricorda che siamo fratelli, che ci insegna “a prenderci cura della vita nello stesso modo e con la stessa tenerezza con cui lei se n’è presa cura”:
“Seminando speranza, seminando appartenenza, seminando fraternità. Celebrare la Santa Madre di Dio ci ricorda che abbiamo la Madre; non siamo orfani, abbiamo una madre. Professiamo insieme questa verità! E vi invito ad acclamarla in piedi tre volte come fecero i fedeli di Efeso: Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!".