Contribuire, condividere, distribuire. Possedere, escludere, accumulare. Nella scelta tra queste due terne di verbi, speculari e antinomiche si gioca il presente e il futuro dell’America Latina e dei suoi popoli, feriti dal Covid che ha colpito oltre 10 milioni di donne e uomini e ne ha uccisi oltre 400mila. La pandemia, però, “ha reso ancora più visibili le nostre vulnerabilità preesistenti”.
La disparità di accesso a prevenzione e cure è una delle molte facce della diseguaglianza strutturale che, nonostante i passi avanti degli ultimi decenni, resta la più alta del mondo. Un circolo vizioso la cui radice profonda è sintetizzata nel trinomio “possesso, esclusione, accumulo”.
Da qui, l’urgenza di una rigenerazione. Di un percorso comune che conduca alla terna opposta, basata nel contributo generoso, nella condivisione equa e nella distribuzione delle risorse.
E’ questo l’invito di papa Francesco nel video-messaggio inviato all’incontro “America Latina: Chiesa, papa Francesco e scenari della pandemia”, organizzato dalla Pontificia commissione per l’America Latina (Cal), la Pontificia accademia delle scienze sociali (Pass) e il Consiglio episcopale latinoamericano (Celam).
L’evento, in forma virtuale a causa dell’emergenza sanitaria, proseguirà venerdì e vuole riflettere sulla situazione del Continente epicentro del virus, come ha sottolineato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Il Pontefice ha rivolto un forte appello alla classe politica affinché sia capace “di alzare lo sguardo e dirigere e orientare le legittime differenze nella ricerca di soluzioni realizzabili per i nostri popoli”. La prassi di screditare il rivale, tanto diffusa nel Continente, produce l’unico effetto di "dinamitare" gli accordi che potrebbero alleviare le sofferenze delle comunità. “Chi paga questo processo di discredito? Lo paga il popolo, ci ostiniamo nel discredito dell’altro a spese dei più poveri, a spese del popolo”. “E’ tempo – ha concluso il Papa – che la nota distintiva di quanti sono stati designati dai rispettivi popoli a incarichi di governo sia il servizio al bene comune e non il fatto di mettere il bene comune al servizio dei propri interessi”.