Papa Francesco in terra d'Arabia. Oltre le linee (e i pregiudizi)
sabato 2 febbraio 2019

Una Chiesa che non t’aspetti. È spuntata tra i minareti e gli sceicchi in una lingua di terra islamica affacciata sul Golfo Persico. È quella di un popolo di Dio di migranti, cattolici d’ogni dove. Un’onda di quasi un milione di fedeli che in pochi giorni ha esaurito i centotrentacinquemila posti disponibili allo stadio più grande degli Emirati Arabi Uniti per assistere alla Messa di papa Francesco martedì mattina ad Abu Dhabi. È la prima e più grande Messa celebrata in luogo pubblico in uno Stato che è parte integrante della terra considerata la culla sacra a Maometto, e alla quale non mancheranno ospiti musulmani. E segna la caratura di questo viaggio apostolico preparato dalla paziente tessitura di incontri e rapporti con gli emiri fin dai tempi di Giovanni Paolo II. E soprattutto fa riflettere sulla particolare fisionomia di questa cristianità multilingue e multicolore.

Una comunità sorta dai flussi di migrazione per motivi economici, quegli stessi che in Europa sembrano invece angustiare sedicenti difensori della identità europea inclini a usare anche i segni della cristianità per le loro battaglia di chiusura. Una realtà che è cresciuta sotto la guida di comunità cattoliche che hanno sempre fatto proprio un rispettoso approccio realista e non antagonista nei confronti dell’ordine costituito di impronta islamica. Fatto che evidenzia un aspetto importante: gli emigranti cristiani contribuiscono oggi allo sviluppo civile e sociale ed economico di questi Paesi. Dunque, la conoscenza e il rispetto reciproco fanno crescere da un punto di vista religioso, ma anche da un punto di vista civile. Il dialogo pertanto non è una questione astratta, e la tolleranza è una necessità che permettere a un Paese di continuare a crescere.

«Qui negli Emirati – aveva detto il presidente sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahyan – l’Anno della tolleranza, il 2019, sarà celebrato come uno sforzo per portare avanti ulteriormente il sogno pluridecennale di creare una società aperta e coesa, verso popoli di culture e religioni diverse. Gli Emirati Arabi Uniti e la tolleranza vanno di pari passo». Aldilà delle dichiarazioni ufficiali, in questo momento gli Emirati sono in effetti un esperimento riuscito di convivenza pacifica di persone provenienti da tutto il mondo e di tutte le religioni. In un editoriale uscito nei giorni scorsi sul quotidiano "The National", veniva ricordato come stiamo vivendo un periodo storico di particolari tensioni sociali, scontri culturali e religiosi: dai campi di battaglia in Medio Oriente al populismo che dilaga sia in Europa sia negli Stati Uniti, l’odio e il sospetto verso l’altro sono un fenomeno in costante aumento. «Al contrario – scrive "The National" – qui negli Emirati Arabi Uniti è diverso, il rispetto per gli altri è un elemento intrinseco della cultura islamica ed è una pietra miliare della politica del governo».

Nel 2015 era stata approvata una legge contro le discriminazioni e l’odio verso «individui o gruppi basati su religione, casta, dottrina, razza, colore», e dal 2016 gli Emirati hanno anche il ministro della tolleranza, incaricato di far rispettare l’impegno della nazione per sradicare il fanatismo ideologico, culturale e religioso. Per il National Programme for Tolerance – piano per questo 2019 – il governo ha preso come testo guida la definizione del termine "tolleranza" indicato dall’Onu e ha redatto la dichiarazione dei princìpi sulla tolleranza: «La tolleranza – si legge nel primo articolo – è rispetto, accettazione e apprezzamento della ricchezza e della diversità delle culture del nostro mondo, delle nostre forme di espressione e dei nostri modi di esprimere la nostra qualità di esseri umani. È favorita dalla conoscenza, dall’apertura di spirito, dalla comunicazione e dalla libertà di pensiero, di coscienza e di fede. Tolleranza è armonia nella differenza.

Non è solo un obbligo morale: è anche una necessità politica e giuridica. La tolleranza è una virtù che rende possibile la pace e contribuisce a sostituire la cultura della guerra con una cultura di pace».

La comunità cattolica emiratina è fiorita da questa stessa tolleranza propugnata da una leadership di matrice islamica, sotto la cui egida si svolge anche il nuovo appuntamento interreligioso al Founder’s Memorial, che continua domani ad Abu Dhabi quanto già iniziato assieme al grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, nella storica visita papale al Cairo nel 2017. Favorire pertanto una cultura che sia sempre più verso l’incontro nel rispetto è il messaggio che da questo viaggio apostolico si rivolge non solo al Medio Oriente, ma a tutto il mondo dove c’è la coabitazione tra cristiani e musulmani ma non solo, sia in Paesi a maggioranza musulmana sia in Stati a maggioranza cristiana.

A papa Francesco il coraggio evangelico di gettare ponti non manca. Come fece san Francesco che, ottocento anni fa, sconsigliato dal farlo, attraversò le linee dell’esercito crociato per incontrare il sultano al-Malik. Il Papa del resto «segue la Chiesa», come disse nella sua intervista ad Avvenire. È quello che fanno i profeti.


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