Nel giorno 201 della guerra in Ucraina si comincia a vedere ciò che sembrava ormai impossibile: programmi di informazioni e talk show sulle televisioni statali russe che affrontano il tema della ritirata russa dalla regione di Kharkiv e dei responsabili della situazione attuale. Da quasi sette mesi, il notiziario settimanale più importante della principale emittente di Mosca celebra i successi del Cremlino. Ma l'edizione di domenica si è aperta con una rara ammissione. "Sul fronte dell'operazione speciale, questa è stata la settimana più dura finora", ha dichiarato il conduttore Dmitry Kiselev. "È stata particolarmente dura lungo il fronte di Kharkiv, dove, in seguito all'assalto di forze nemiche superiori alle nostre, le truppe sono state costrette a lasciare le città che avevano precedentemente liberato", secondo la traduzione fatta dalla Bbc.
Anche in un altro seguito programma, dove di solito vi è unanimità di analisi e di giudizi, ben lontana dai programmi politici punteggiati da risse verbali cui siamo abituati in Italia, si è vista per la prima volta una diversità di opinioni, con l’ex deputato Boris Nadezhdin proporre di aprire una trattativa con Kiev perché la guerra così non si può vincere. Il conduttore, incredulo, chiedeva ad altri ospiti se davvero si debba negoziare con i nazisti di Zelensky. Qualcuno negava con risolutezza, ma l’analista Viktor Olevich confermava i problemi e si chiedeva chi ha consigliato così male Putin, inducendolo a condurre una operazione militare speciale con poche truppe, mercenari e l’illusione di una vittoria facile e rapida.
Qualcosa di assolutamente inedito, che segnala come la controffensiva ucraina all’Est e nel Sud stia davvero creando grande preoccupazione a Mosca. Una preoccupazione che non si può più nascondere all’opinione pubblica dietro la spessa cortina della propaganda. Le fonti ufficiali cercano ancora di dare una versione edulcorata, evitando il termine “ritirata”. "Il ministero della Difesa russo ha smentito le voci secondo cui le truppe russe sarebbero fuggite da Balakliya, Kupiansk e Izyum. Si è trattato di un raggruppamento pre-pianificato", si legge sul quotidiano governativo ‘Rossiyskaya Gazeta’. Tuttavia, sul tabloid ‘Moskovsky Komsomolets’, un esperto militare si esprime in modo più diretto: "È già chiaro che abbiamo sottovalutato il nemico. Le forze russe hanno tardato a reagire e il crollo è arrivato... Di conseguenza, abbiamo subito una sconfitta e abbiamo cercato di minimizzare la perdita ritirando le nostre truppe per evitare che fossero circondate".
Di qui lo scatenarsi delle accuse reciproche sulla paternità della (parziale e temporanea) disfatta subita dalle forze armate della Federazione. Ha cominciato il leader ceceno Ramzan Kadyrov: "Se oggi o domani non verranno apportati cambiamenti nella strategia, sarò costretto a parlare con i vertici del ministero della Difesa e con la guida del Paese per spiegare loro la reale situazione sul campo”. Altri l’hanno seguito. è comparsa persino una petizione per chiedere le dimissioni del leader del Cremlino, firmata da decine di consiglieri municipali di Mosca e San Pietroburgo. "Le azioni del presidente vanno a detrimento del futuro della Russia e dei suoi cittadini", si legge nell'incipit della lettera aperta, condivisa su Twitter da Ksenia Torstrem, consigliere municipale di un distretto di San Pietroburgo. Il testo è stato inizialmente sottoscritto da 19 eletti, ma Torstrem ha detto di aver ricevuto altre 84 adesioni. Un’azione dal peso ininfluente, come è ovvio, ma indicativa di un clima che forse sta mutando.
E si apre quindi la domanda su come vorrà reagire Vladimir Putin alla situazione che si sta creando sul campo. La prima scelta militare è stata quella di proseguire con le rappresaglie su obiettivi civili, in particolare le centrali energetiche, per provocare black-out che impauriscano e demoralizzino la popolazione. Ma degli undici missili ad alta potenza (e ad altissimo costo) utilizzati da Mosca, nove sono stati intercettati dalle batterie ucraine. Servirà pertanto altro. Se la Russia non riuscisse a ottenere la vittoria con armi convenzionali, potrebbe pensare all’uso di ordigni atomici?
Solo pochi giorni fa, il generale Valerij Zalužnyj, comandante in capo delle Forze armate ucraine, ha avvertito: "Esiste una minaccia diretta dell'uso, in determinate circostanze, di armi nucleari tattiche da parte delle forze armate russe". Sembra un’opzione difficile, perché l’uso di bombe atomiche sul campo di battaglia, pur limitate nei loro effetti, equivale a varcare una linea rossa anche simbolica che rischierebbe di alienare completamente l’appoggio al Cremlino persino di Cina e India, facendo diventare la Federazione un vero paria della comunità internazionale.
Il fatto che l’uomo forte, non abituato alle sconfitte né a cambiare idea o ad ammettere errori, si trovi messo nell’angolo può comunque indurlo a una reazione dura e pericolosa, soprattutto verso la Nato, bersaglio di tutti gli strali della propaganda. Putin potrebbe insistere nella sua guerra combattuta con le armi dell’energia e del grano, per aggravare la crisi internazionale e cercare di fiaccare il sostegno occidentale a Kiev, unica via per riconquistare la supremazia nei combattimenti. Non bisogna, in ogni caso, sopravvalutare la capacità della resistenza ucraina di invertire le sorti del conflitto e sottovalutare gli arsenali pressoché infiniti di Mosca. Il conflitto può ancora essere tragicamente molto lungo.