Le automobili non sono fatte per viaggiare a 30 all’ora. E le città non sono fatte per essere invase dalle automobili. Si gioca tutta qui, in questa contrapposizione di funzioni e di prospettive, e anche di interessi, la partita sul limite di velocità e il dibattito nato dopo l’ordine del giorno del Consiglio comunale di Milano per entrare a far parte del club delle “Città 30” dal 2024. Il che significa che presto, come in altre aree urbane più o meno ampie, da Parigi a Olbia, da Cesena a Bruxelles, anche nel capoluogo lombardo nella stragrande maggioranza delle strade il limite di velocità potrebbe scendere da 50 a 30 chilometri orari.
La conseguenza di una svolta di questo tipo è facilmente intuibile, anche se si tratta di una fase tutta da inventare. Se si escludono situazioni curiose e divertenti, come i runner o i ciclisti fotografati dai velox parigini, l’idea di una città a 30 all’ora si fonda su un principio abbastanza semplice: mettere sullo stesso piano chi si sposta in auto con chi preferisce usare i mezzi pubblici, la bicicletta, il monopattino o altre forme di mobilità leggera, oppure cammina.
A qualcuno questa forma di uguaglianza può apparire esagerata. In realtà una città che introduce il limite dei 30 per le auto non si ferma a questo, ma avvia un percorso che in prospettiva conduce a restringere le corsie delle strade, ad ampliare i marciapiedi, a realizzare più corsie riservate per le due ruote, a estendere le aree pedonali, a regolare diversamente il sistema e gli orari delle consegne, e via dicendo. Dietro i 30 all’ora, insomma, c’è il tentativo di fare in modo che lo spazio urbano non sia più solo “a misura di auto”, così da costringere le persone a dover usare le quattro ruote anche quando potrebbero farne a meno, ma renda gli spostamenti efficienti anche scegliendo altre modalità.
Non più la libertà di usare l’auto, insomma, ma la libertà aggiuntiva di non usare l’auto. Una trasformazione di questo tipo chiaramente non può essere indolore, perché incide radicalmente su abitudini consolidate. Tuttavia, il limite a 30 all’ora non compromette in alcun modo la libertà di spostarsi in auto e nemmeno rischia di aumentare i tempi dei trasferimenti. Dove il limite è stato introdotto il tasso di incidenti è sceso mentre la velocità media è rimasta pressoché immu-tata, o è calata di poco. Questo significa che a venire meno sono soprattutto le accelerazioni (e le frenate), cioè il momento della guida in cui si inquina di più. Non è un dettaglio, perché un’automobile produce più emissioni nocive a 30 km orari che tra i 50 e gli 80, ma solo se si mantiene la velocità costante, cosa impossibile in città.
Il tema dei 30 all’ora può porre un problema politico più serio nel momento in cui diventa il tassello di una strategia per bloccare un mezzo di trasporto che, purtroppo, non concede a tutti il privilegio della scelta. Se ad esempio si pensa a Milano e alla Lombardia – ma non solo – cioè a quanto sia necessario gravitare sul capoluogo per studiare, lavorare o curarsi, e a quanto può essere complesso e costoso raggiungerlo, anche solo dal vicino hinterland, dato che gli investimenti hanno per decenni privilegiato le infrastrutture stradali rispetto a forme di trasporto più sostenibili, servirebbe un supplemento di attenzione evitando inutili e fastidiose contrapposizioni ideologiche. Questo aspetto non ha nulla a che vedere con i 30 all’ora, ma resta inevitabilmente sullo sfondo.
Una metropoli sulla quale convergono milioni di persone, e i cui confini non coincidono più con quelli amministrativi, ha bisogno che l’obiettivo del miglioramento della qualità della vita appartenga a un patrimonio condiviso di valori, sia cioè un programma trasversale, un fattore di collaborazione e non un motivo di scontro. Tra l’immaginario politico di chi prende a martellate le piste ciclabili o brama di parcheggiare il diesel in piazza Duomo e quello di chi pensa a una città su misura per single in bike-sharing e genitori in cargo-bike, ci sono milioni di famiglie con problemi veri e la richiesta di provvedimenti che li risolvano a vantaggio di tutti. In questo senso, incominciare a parlare seriamente di 30 all’ora, e poi di molto altro ancora, può essere solo una straordinaria opportunità per un’area metropolitana così grande e moderna eppure ancora così poco europea.