Caro direttore, sollecitato dal nuovo e prezioso intervento sulle colonne di 'Avvenire' di martedì 7 luglio, mi permetto di inviarti poche righe di commento, a corredo della mia adesione 'all’Appello dei 116' per il ripensamento – o meglio, per una vera e propria istituzione – del Servizio civile universale (Scu). L’opportunità di svolgere un servizio a favore degli altri è un valore grande per tutte le età, e le modalità con cui essere generativi e generosi sono infinite: può esserlo una madre con i propri figli, un lavoratore aziendale se e in quanto decide di insegnare ad altri il proprio lavoro, un imprenditore che inventa un’impresa che dà lavoro ad altri, un insegnante che mette in gioco se stesso con i propri alunni. Ma dove si impara, questa capacità di dono?
E come innaffiarla e piano piano farla crescere, come faceva il Piccolo Principe con la sua rosa preferita? Ogni educatore può e deve fare la sua parte, dalla famiglia alla scuola, mai mass media alla politica. Ecco, il Servizio civile universale, prima ancora che per il suo valore di servizio e solidarietà per gli altri, mi parrebbe un grande strumento pedagogico di educazione al bene comune, alla donazione del proprio tempo a favore di altri e di altro da sé. Soprattutto se verrà gestito come progetto condiviso tra lo Stato e tutta la società civile. E in quale momento migliore di quel passaggio tra la scuola e la vita attiva che ci si chiede 'cosa farò da grande?'.
Anche perché, purtroppo, quel momento è diventato troppo complicato per i nostri giovani, intrappolati da una società gerontocratica che li lascia nella 'cassa integrazione gratuita' che è diventata la famiglia di origine, con una serie di rinvii delle scelte di vita che sono di fatto una progressiva penalizzazione dei progetti e delle speranze per il proprio futuro. L’opportunità di un Servizio civile universale per tutti i giovani e le giovani del nostro Paese sarebbe invece un grande laboratorio di socialità e di donazione, ma soprattutto di protagonismo personale, utile certamente per i destinatari degli interventi in cui i giovani potranno essere coinvolti, ma soprattutto utile prima di tutto per i giovani stessi: perché qui sta la bellezza dell’eccedenza del dono: donando ad altri, arricchisco anche me stesso. Quindi, coraggio, da parte della po-litica: per una volta si faccia un scelta di politica generazionale che metta al centro i giovani non come destinatari di elemosine (peraltro ben poco consistenti, in genere), ma come risorse per gli altri, alla conquista della dignità della propria cittadinanza attiva.
Sociologo, direttore Cisf