Tra i tanti motivi di contenzioso che si affastellano in questa agitata crisi di governo, ce n’è uno che andrebbe tolto dal tavolo. Perché impatta proprio sull’Italia 'diversa' che ci è chiesto di progettare e cominciare a costruire per uscire migliori dalla pandemia e dalla crisi sanitaria, sociale ed economica che ha generato. È qualcosa che incide sulla capacità del nostro Paese di ripianare il debito trentennale che con il ricorso ai fondi del Next Generation Eu stiamo accendendo. Capacità che per altro ci è richiesta dall’Unione Europea, come pezzo decisivo dell’autoriforma del sistema Italia. Una volta si sarebbe detto delle necessarie riforme di struttura. Questo tema di contenzioso da togliere di mezzo è il paventato ostracismo al cashback voluto dal governo per incentivare acquisti trasparenti con moneta elettronica.
Motivo, o scusa, è che i fondi per finanziarlo sarebbe meglio spostarli sui 'ristori' alle categorie colpite dalla crisi. In realtà, non sarebbe affatto meglio. Anche alla luce dei primi risultati positivi dell’avvio di questa spinta alla moneta elettronica, che tendenzialmente si ripaga da sé prosciugando un altro pezzo dell’area dell’economia sommersa, l’ipotesi si svela per quello che è: un espediente per mettere in difficoltà ulteriore il governo Conte. Espediente oltretutto velleitario: il futuro, piaccia o non piaccia, è la moneta elettronica. Dovrebbe essere chiaro a tutti – e per questo il cashback è materia da togliere dal tavolo della crisi, anche se può sembrare materia minore – che la sua abolizione non solo darebbe una colpo al rilancio dei consumi di massa, frenando nell’immediato la già fragile tendenza a un po’ di ripartenza, ma soprattutto darebbe una colpo – inviando un brutto segnale ai partner europei – a questo sviluppo necessario nella concreta lotta all’evasione fiscale, cui anche l’Italia più riottosa sta cominciando poco a poco a rassegnarsi, perché il tema è: chi pagherà nei prossimi decenni i duecento e passa miliardi di euro di prestiti?
Le 'nuove generazioni' di soggetti fiscali, ovviamente. Ma chi? Sempre i soliti noti, cioè lavoratori dipendenti e pensionati, imprese e lavoratori autonomi corretti e/o impossibilitati ad evadere o ad eludere? O tutti come è doveroso? Il debito che è stato accumulato nei passati decenni, per la quota imputabile all’infedeltà fiscale, non è stato e non è dovuto a tutti. E proprio e tanto più per questo, il recupero del debito che andiamo ad aggiungervi adesso dovrà essere imputato a tutti. Non solo per motivi morali, ma per motivi strutturali di impossibilità di fare altrimenti, pena il dissolvimento dello Stato, della concretissima articolazione che nei suoi corpi di servizio garantisce al Paese. Lo Stato siamo noi, di dice. E, in questo senso, è un bene di tutti che devono sostenere tutti. E dobbiamo abituarci a pensare così. Senza voltare la testa dall’altra parte quando si parla della necessità di rendere finalmente equa e funzionale agli interessi veri degli italiani, ma tutti, anche quelli che devono ancora nascere, la struttura fiscale del Paese.